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LUCERNAL'OSPITENuovo accordo fiscale con l’Italia: altro che “un successo”

27.01.22 - 15:29
di Lorenzo Quadri, Consigliere nazionale Lega dei Ticinesi
Tipress
Fonte ATS
Nuovo accordo fiscale con l’Italia: altro che “un successo”
di Lorenzo Quadri, Consigliere nazionale Lega dei Ticinesi

LUCERNA - Il nuovo trattato con l’Italia sulla fiscalità dei frontalieri è lungi dall’essere il successo che le maggioranze politiche pretendono.

Occorre infatti ricordare tre cose:

La famosa Convenzione del 1974 era il prezzo da pagare all’Italia affinché riconoscesse il segreto bancario svizzero. Ma il segreto bancario per i clienti esteri non esiste più da un pezzo. Ed in prima fila ad attaccarlo ci fu proprio l’Italia.

La prima beneficiaria del nuovo accordo non è certamente la Svizzera. E’ l’Italia, che incamererebbe, in prospettiva, centinaia di milioni di imposte in più.

Il Lussemburgo, stato membro UE, non versa alcun ristorno a Francia e Germania per i frontalieri di quei paesi attivi sul proprio territorio. Non si vede perché la Svizzera, che dell’UE non fa parte, dovrebbe essere più generosa con la vicina Penisola.

Il nuovo regime fiscale, secondo il quale la Svizzera incasserebbe l’80% delle imposte alla fonte dei frontalieri (oggi il 61,2%), si applicherebbe solo ai nuovi frontalieri: quelli assunti a partire dal 2023. Gli altri godranno del più vantaggioso regime attuale fino alla pensione. Visto che di frontalieri in Ticino ce ne sono già 75mila, c’è da chiedersi a quanti altri permessi G le maggioranze politiche intendono spalancare le porte del mercato del lavoro cantonale, a tutto danno dei residenti, ed in particolare dei giovani ticinesi che infatti emigrano. Prima di giungere ad un numero preponderante di frontalieri tassati secondo le nuove regole, trascorreranno decenni. Quindi anche l’auspicato “effetto antidumping” generato dall’aumentata pressione fiscale sui permessi G si farà attendere a lungo.

Fino al 2034 il Ticino dovrà versare i ristorni. 12 anni sono un’eternità. Perfino il Consiglio federale reputa insoddisfacente una simile tempistica. In questo lungo lasso di tempo, di cose ne possono cambiare parecchie. Intanto però il nostro Cantone dovrà versare il 40% dell’imposta alla fonte (attualmente, dal 1985, il tasso è del 38.8%) ed il moltiplicatore comunale applicato ai frontalieri dovrà scendere di una ventina di punti percentuali dall’attuale 100%. Questo significa meno incassi per l’erario ticinese.

L’accordo sui frontalieri è solo un capitolo della road map stabilita con la Penisola nel 2015. Rimane irrisolta la questione dell’accesso al mercato finanziario italiano da parte degli operatori svizzeri. Accesso che oggi non è dato per scelta deliberata dell’Italia, la quale – diversamente da altri Paesi UE - prevede l’obbligo di succursale. Il che significherebbe spostare impieghi dal Ticino ad Oltreconfine.

Ed è chiaro che, se si approva il trattato che Berna ha negoziato al ribasso, la questione del mercato finanziario sarà definitivamente spazzata via dal tavolo. Perché la Svizzera di argomenti da far valere non ne avrà più. E il Belpaese avrà intanto ottenuto tutto ciò che gli interessava.
 

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