Greta Gysin, consigliere nazionale per i Verdi
Il fumo, con i 9500 morti all’anno, è la prima causa di morte evitabile in Svizzera. La metà dei fumatori muore in maniera precoce e questo è un problema: per la sofferenza che crea, ma anche per i costi che causa. Si calcola costi sanitari di 3 miliardi di franchi annui, oltre che tra 1 e 2 miliardi di costi indiretti a carico dell’economia.
La morte precoce della metà dei propri clienti è ovviamente un problema anche per la stressa l’industria del tabacco che, per non subire un calo del fatturato, deve trovare continuamente nuovi consumatori che compensino le perdite. Per l’industria del tabacco rivolgere la propria pubblicità soprattutto ai giovani è una scelta logica: in quella fascia c’è il più grande potenziale di nuovi consumatori, i giovani sono particolarmente ricettivi dei messaggi pubblicitari e per di più sviluppano le dipendenze più velocemente.
A comprova di ciò, ci stanno i dati: chi inizia a fumare lo fa, salvo poche eccezioni, da giovane. Ben 57% dei fumatori svizzeri ha cominciato da minorenne, pochissimi sono quelli che cominciano dopo i 21. Se vogliamo diminuire la quota di fumatori - e considerati i costi sociali, sanitari, ecologici ed economici nessuno può ragionevolmente non condividere questo obiettivo - è quindi proprio presso i giovani che bisogna intervenire.
Servono misure di prevenzione, servono genitori attenti, un sistema scolastico che informi a dovere. Ma questi sforzi irrinunciabili devono essere accompagnati da una politica che li sostenga e che sia coerente: se la vendita di prodotti del tabacco è vietata ai minori di 18, come previsto dal controprogetto indiretto, dovrà per forza esserlo anche la pubblicità rivolta ai minorenni. Continuare a permetterla proprio nei luoghi pu frequentati dai giovani, come gli open air, la stampa gratuita e i social media, è schizofrenico.
Nella lotta al tabagismo, la svizzera è fanalino di coda in Europa. Un posizionamento non certto invidiabile, che ci dà però la possibilità di avvalerci dell’esperienza di altri Stati che si sono attivati prima di noi: in Islanda e in Francia, ad esempio, delle politiche più restrittive in materia di tabagismo e di pubblicità in particolare hanno portato a una diminuzione della quota di fumatori di circa il 6%. C’è dunque una correlazione chiara e diretta tra la pubblicità e il consumo. Del resto non dovrebbe stupire: se non fosse così, che motivo avrebbe l’ecoomia di investire milioni in pubblicità?
Sappiamo tutti che il fumo fa male, tuttavia smettere è difficile. La cosa migliore è quindi inequivocabilmente non cominciare. Vietare la pubblicità a loro raggiungibile è un aiuto ai nostri giovani perché non cedano alla tentazione e non cadano nella dipendenza. Se proprio vogliono cominciare a fumare, che lo facciano da maggiorenni, quando le conseguenze delle loro azioni – anche sul lungo termine – saranno loro forse un po’ più chiare.