Lorenzo Quadri, Municipale di Lugano, Lega dei Ticinesi
Il Consiglio di Stato intende rinnovare la prestazione ponte covid cantonale. Questa prestazione è stata operativa dal 1° marzo al 31 dicembre del 2021, con una revisione in corso d’opera entrata in vigore (retroattivamente) in maggio, che ne ha allargato i criteri d’accesso (la prima versione comportava troppe decisioni negative).
La rendita andava richiesta mensilmente al comune di domicilio. L’ammontare massimo era di 2000 Fr al mese per il primo componente dell’economia domestica, e 800 Fr per ogni ulteriore membro.
Nel 2021 i Comuni hanno ricevuto 2221 domande, delle quali 1457 sono state evase con esito positivo (66%).
Questa percentuale varia evidentemente da comune a comune. A Lugano, ad esempio, sono state presentate 630 domande. Quelle accolte sono il 53%.
Il contributo totale a livello cantonale è stato di quasi 2.3 milioni di Fr.
Le prestazioni erano destinate ai lavoratori indipendenti e ai salariati che non potevano beneficiare delle indennità previste dalla legge sull’assicurazione contro la disoccupazione (LADI). L’obiettivo era evitare che troppe persone chiedessero l’assistenza, magari per un breve periodo.
L’assalto non c’è stato
I criteri d’accesso alla rendita ponte erano semplificati e largheggianti rispetto a quelli delle altre prestazioni sociali. Ciò implica una distorsione in un sistema estremamente complesso, col rischio di generare delle iniquità. E significa pure creare un importante lavoro amministrativo ai comuni, chiamati a evadere le richieste e anche a far fronte a eventuali ricorsi contro decisioni negative.
Tutta l’operazione si giustificava con l’urgenza. Le chiusure decretate dal Consiglio federale hanno infatti messo da un giorno all’altro tante persone nell’impossibilità di lavorare, e quindi di guadagnarsi la pagnotta.
Le cifre dimostrano tuttavia che non si è verificato un assalto alla diligenza. Il numero delle richieste è stato tutto sommato contenuto rispetto a quello dei potenziali beneficiari. Anche nei momenti in cui erano in vigore ampie restrizioni all’attività economica, con interi settori in lockdown. Il che è probabilmente merito degli aiuti straordinari decisi dalla Confederazione.
Tempistica non coerente
Come detto, la prestazione ponte covid è giunta a scadenza il 31 dicembre. Il Consiglio di Stato chiede ora al Gran Consiglio di rinnovarla per almeno altri 6 mesi, con effetto retroattivo al 1° gennaio 2022. La durata dovrebbe essere prorogabile, previa valutazione periodica della situazione, fino a dicembre 2023. Questa proposta solleva una serie di interrogativi.
Tanto per cominciare sulla tempistica. Il Gran Consiglio non potrà in ogni caso approvare la prestazione prima della prossima seduta, che inizierà il 21 febbraio. Teoricamente il nuovo decreto legislativo non potrebbe entrare in vigore che 60 giorni dopo. Il CdS intende tuttavia “avviare le procedure della prestazione subito dopo l’approvazione parlamentare”.
Fatto sta che la rendita ponte “vecchia” è giunta a termine il 31 dicembre. Quella nuova, bene che vada, arriverebbe oltre due mesi dopo. Nel frattempo chi la riceveva non ha vissuto d’aria. Quindi, o non ne ha più bisogno avendo superato il momento di difficoltà, oppure ha già chiesto ed ottenuto altre prestazioni sociali. In particolare l’assistenza. Se quindi l’obiettivo della nuova prestazione ponte è quello di evitare richieste d’assistenza, ormai i buoi sono fuori dalla stalla.
Davvero necessario?
Ma soprattutto, la domanda è: prolungare la rendita ponte è davvero necessario? Nel mese di dicembre 2021, con varie misure restrittive in atto, a Lugano le richieste sono state una quarantina: poco più di una al giorno. Adesso che - finalmente! - si va verso la normalità, il loro numero dovrebbe essere decisamente minore. Si rischia insomma di mettere in piedi una macchina burocratica pesante, complicata e costosa… per pochi casi. E magari a giugno verrebbe già abrogato tutto. Specie se a breve termine (si parla di una decina di giorni) tutte le restrizioni residue con impatto sulla vita economica verranno a cadere con l’auspicato “freedom day” elvetico.
Se la vita economica torna alla normalità, lo stesso dovrebbe valere per le prestazioni sociali.
Soluzioni alternative
Al momento attuale sarebbe meglio che il Cantone scegliesse una via più semplice e concreta. Ad esempio, potrebbe stanziare un credito da destinare a situazioni particolari che dovessero emergere.
Un’altra opzione potrebbe essere quella di preparare sì un nuovo decreto per un’ulteriore rendita ponte, ma di sospenderne l’applicazione. Si tratterebbe, in altre parole, di avere pronto lo strumento da estrarre dal cassetto nella malaugurata ipotesi in cui dovessero verificarsi nuove ondate pandemiche con altre chiusure. Evitando però di metterlo in funzione nelle prossime settimane: perché rischierebbe di essere più la spesa che l’impresa.
Dati utili
Senza contare che, prima di decidere rinnovi, sarebbe opportuno disporre di un bilancio della rendita ponte conclusa a fine 2021. Che indichi anche i costi amministrativi e promozionali affrontati per rapporto alle prestazioni erogate.
Sarebbe pure utile (eufemismo) rendere nota qualche informazione sui beneficiari. Quanti sono i cittadini svizzeri? Quanti sono stranieri? Con quale tipo di permesso?