Giorgio Cassina, studente di diritto presso un’università svizzera.
Mi sento in dovere di condividere una riflessione che ho maturato ieri, dopo avere letto, non senza stupore, che l’Associazione giuristi praticanti ticinese (AGP) si dichiara contraria alla nuova direttiva della Divisione della Giustizia del Cantone definendola “discriminatoria”. La direttiva si pone il legittimo obbiettivo di dare la precedenza agli svizzeri e a chi ha studiato in Svizzera, nell’ambito dell’assegnazione dei posti pubblici per svolgere l’alunnato giudiziario (nel periodo che segue l’università) presso autorità giudiziarie del Cantone.
Si parla ormai da anni del momento difficile che sta vivendo il mercato del lavoro ticinese: “sovraffollato” da frontalieri e che presenta fenomeni come il dumping salariale o il lavoro parziale fittizio, che hanno, tra l’altro, la triste e indiretta conseguenza di abbassare gli stipendi ticinesi. Questo e altri motivi (forse la politica non vuole vederli) sono le vere ragioni per cui i giovani ticinesi che studiano oltralpe sono sempre meno incentivati a tornare in Ticino per cercare lavoro al termine della loro formazione.
In questo panorama desolante e non certo attrattivo, come studente di diritto ticinese che vorrebbe tornare a formarsi e lavorare nel nostro Cantone, ho accolto molto favorevolmente la nuova direttiva cantonale che si pone di applicare un semplice “prima i nostri” nell’ambito di posti PUBBLICI, molto limitati e ambiti, per svolgere l’alunnato giudiziario.
Che uno Stato possa permettersi di puntare prima sui propri cittadini formati e poi, in caso di necessità, su stranieri formati, credo sia un principio semplice, razionale e sensato, che viene peraltro applicato in qualsiasi altra nazione del mondo. Sarebbe infatti sconsolante se il Cantone stesso non credesse nei suoi cittadini.
Secondo questa mia prospettiva, trovo quantomeno sconfortante e triste che l’Associazione giuristi praticanti ticinese, che pensavo volesse prima di tutto tutelare gli interessi dei giovani studenti ticinesi, si dica espressamente contraria a questo piccolo strumento di sano protezionismo istituito dal Cantone. Reputo personalmente ancora più infelice l’esplicita presa di posizione dell’AGP a favore dei praticanti frontalieri con permesso G.
Ma forse mi sbaglio, fare fatica per studiare il diritto svizzero in un’altra lingua e in Svizzera è forse diventata una pratica sorpassata e sopravvalutata.
Da ultimo vorrei comunque ricordare che la pratica legale nel Cantone Ticino non richiede forzatamente un periodo di lavoro presso uffici pubblici, il che significa che i praticanti stranieri non saranno assolutamente preclusi dallo svolgere l’esame di avvocatura.