Il capo della sezione Gestione delle crisi dell'UFSP ha spiegato che non c'è ancora una decisione sulle mascherine.
Sull'immunità «si sa ancora troppo poco».
BERNA - È stata convocata per questo pomeriggio alle 14 una nuova conferenza stampa da Berna per informare la popolazione sulla situazione legata al coronavirus. In Svizzera si contano al momento 25'835 casi confermati, 254 in più rispetto a 24 ore fa. I decessi a livello nazionale sono almeno 900. In Ticino le vittime hanno raggiunto quota 258, mentre i contagi, 12 più di ieri, sono 2'912.
Presenti all’incontro con i media oggi sono Patrick Mathys, capo della sezione Gestione delle crisi e cooperazione internazionale dell’UFSP, il brigadiere Raynald Droz, capo dello Stato maggiore del comando operativo e Hans-Peter Lenz, responsabile del Centro di gestione delle crisi.
Mathys ha iniziato ringraziando gli svizzeri perché «durante il weekend pasquale, nonostante un tempo magnifico, siete stati a casa, responsabilmente, rinunciando a muovervi eccessivamente, a riunirvi all'aperto».
Le cifre - Abbiamo globalmente al momento 200'000 persone testate, 25'835 hanno avuto un esito positivo, circa 3'000 sono state ricoverate in ospedale e 900 sono morte. Sono ancora 400 le persone che si trovano in cure intense negli ospedali svizzeri. «Una cifra relativamente stabile». Per quanto riguarda i casi registrati, invece, «sembrano essere al ribasso». Si tratta però di «tendenze», non di cifre definitive. «Potremmo essere al ribasso». Nel mondo ci sono stati 120'000 morti, gli Stati Uniti sono il paese con il maggior numero di vittime (23'649). «Con "America first" purtroppo Trump ha avuto ragione», ha aggiunto Mathys.
Il Consiglio federale si riunirà per decidere, probabilmente, un allentamento delle misure, senza abbassare la guardia con le misure di protezione. Delle decisioni saranno comunicate giovedì o venerdì. Secondo Mathys «il picco è stato superato, ma non si può ancora ufficialmente dire».
Gli svizzeri all'estero - Hans-Peter Lenz ha informato sui rimpatri, ridotti attualmente. «Sono stati organizzati 29 voli di rimpatri, 6'400 svizzeri (e stranieri che vivono nel nostro paese) sono stati rimpatriati. Circa 2'500 svizzeri, invece, sono stati rimpatriati in Europa da compagnie di paesi vicini. Il volo da Kinshasa di ieri è stato utilizzato anche per fornire aiuti umanitari». Questa settimana è previsto un volo per Kiev e la prossima un altro verso l'Asia e uno verso l'America latina.
Il ruolo dell'Esercito - Raynald Droz parla del «30esimo giorno» in cui l'Esercito è impegnato nell'emergenza coronavirus. A Ginevra, Ticino, Vaud, Vallese, Grigioni e Glarona sono presenti più militi. Il numero di soldati in quarantena è 514, cioè 260 in meno rispetto all'ultimo infopoint. Ci sono 134 casi di isolamento e 185 casi confermati, 11 in meno rispetto all'ultima conferenza stampa. Oggi abbiamo «3'300 volontari che si sono annunciati per partecipare a questa operazione. Circa 1'300 avremmo potuto convocarli, ma ne abbiamo chiamati solo 220. Abbiamo ancora un margine». Nel 30esimo giorno dell'impegno dell'Esercito «le cose vanno bene».
Le mascherine - Patrick Mathys, capo della sezione Gestione delle crisi e cooperazione internazionale dell’UFSP, ha commentato gli allentamenti alle misure decise in Austria. «Quando escono devono indossare la mascherina e anche qui in Svizzera si sta riflettendo sulle misure da aggiungere alla graduale ripartenza del paese, mascherine o meno. Le mascherine servono per proteggere gli altri se una persona è contagiata. Quanto è l'effetto, qual è il vero contributo di protezione, non lo sappiamo con certezza. Se si chiederà agli svizzeri di indossarle, dovranno sicuramente essere messe a disposizione».
Test e tamponi - Rispondendo a una domanda, Mathys ha spiegato che «i 254 test positivi rispetto a ieri non corrispondono a meno o più persone testate. Magari domani le cifre saranno più alte, ma la tendenza è al ribasso». Per quanto riguarda i contagiati, vengono comunque testate «solo le persone raccomandate dal medico, con dei sintomi e facenti parti di categorie a rischio. E nei giorni di Pasqua ovviamente meno gente va dal medico. Questi 254 nuovi casi potrebbero essere di più martedì o mercoledì». Mentre per quanto riguarda i test sierologici sono ancora «in mano alla ricerca. Permettono di vedere «quante persone sono state in contatto con il virus. Bisogna però vedere qual è la reazione del sistema immunitario della singola persona».
Perché non fare test a tappeto? - «La richiesta dei test è un po' diminuita», ha precisato Mathys. «Noi continueremo a modificare la strategia, tutti i test a disposizione verranno utilizzati e anche i criteri scelti per decidere a chi fare o meno il tampone verranno adattati. Adesso non abbiamo tamponi per tutti. La capacità quotidiana di tamponi dovrebbe poter restare sui 10'000 sul lungo periodo».
Immunità sì o no? - In Corea del Sud chi era risultato negativo al test ora è positivo (90 casi). «Non è noto se abbiano ricontratto il virus oppure se quando il test era negativo "la quantità" di virus nel corpo era bassa e poi è aumentata. Non si sa ancora cosa è l'immunità e quanto dura». Attualmente non è possibile «rilasciare dei "passaporti di immunità", perché gli studi sono in corso». L'immunità globale non è l'obiettivo primario attualmente. «Il coronavirus toccherà probabilmente un terzo della popolazione, mentre i restanti due terzi saranno immuni. Ma prima di raggiungere i 200-300mila malati ci vorranno ancora dei mesi. E si spera che ci sarà già un vaccino, per proteggere la popolazione. La Svezia per esempio ha già avviato una strategia dell'immunità, quasi un contagio forzato, non so se noi decideremo mai di seguire la strada del "contagio controllato"».
Mancano farmaci e materiale? - «Ci sono delle strettoie per i farmaci necessari in cure intense. Sul lungo periodo potrebbero mancare i farmaci fondamentali. La Confederazione sta cercando di acquistarli sul mercato internazionale. Le mascherine anche, sono super richieste in tutto il mondo. Ma la situazione rimane molto tesa».
Riaprire le scuole è saggio? - «Alcuni paesi lo fanno prima di altri. Chi avrà ragione lo dirà soltanto il futuro - ha spiegato Mathys -. Noi in Svizzera dobbiamo sicuramente affrontare il problema».