La vicenda ha coinvolto un imprenditore austriaco attivo a Zurigo che ha richiesto illecitamente oltre tre milioni.
L'uomo è stato condannato a tre anni di reclusione, di cui 10 mesi da scontare, per truffa, falsità in documenti e altri reati. Dovrà inoltre risarcire i soldi sottratti.
ZURIGO - Un imprenditore chiede oltre 3 milioni di franchi di crediti Covid-19 pur non avendone diritto, il consulente si accorge immediatamente che qualcosa non quadra, ma la banca paga ugualmente e i costi andranno a carico della collettività.
La vicenda, raccontata oggi dal Tages-Anzeiger, concerne il promotore di Mein Arzt, una catena di studi medici di famiglia che aveva la sua sede amministrativa a Opfikon (ZH) e che dalla fine del 2019 si trovava in gravi difficoltà finanziarie. Nel giugno di quest'anno il tribunale distrettuale di Bülach (ZH) ha condannato l'uomo a tre anni di reclusione, di cui 10 mesi da scontare, per truffa, falsità in documenti e altri reati.
Nel marzo 2020, nel pieno della pandemia, l'imprenditore di nazionalità austriaca aveva presentato una serie di richieste di crediti Covid per i suoi studi per un ammontare complessivo di 3,5 milioni di franchi. Per farlo aveva parlato di un fatturato complessivo di 29 milioni, mentre se avesse indicato il giro d'affari corretto avrebbe ricevuto solo 690'000 franchi, riferisce il quotidiano zurighese.
I soldi vennero peraltro effettivamente impiegati negli studi: nella successiva inchiesta penale la procura non ha trovato riscontri di prelievi personali o deflussi verso l'estero. L'imputato è stato condannato anche a risarcire 3,25 milioni di franchi: finora i rimborsi sono ammontati a 300'000 franchi.
Nella sua edizione odierna il Tages-Anzeiger ricostruisce i momenti concitati del 26 marzo 2020, quando gli operatori della banca (nella fattispecie: Credit Suisse) erano impegnati a trattare la moltitudine di richieste di aiuto finanziario, in modo veloce e non burocratico, come richiesto dalla Confederazione, che si era posta peraltro come garante dei prestiti. Quel giorno sui monitor degli impiegati fioccano le richieste di Mein Arzt: ciascuno degli studi presenta una domanda in cui il fatturato viene indicato in 1,5 milioni di franchi e immediatamente suonano i campanelli d'allarme. "D houptfirma het tonnewies betriebige" (la ditta principale ha tonnellate di precetti), scrive un consulente nella chat interna, in dialetto zurighese. «Es stimmt nid», insiste. «Er heit niiiiiiie sövu Umsatz». Cioè: non può essere, non può avere assolutamente un fatturato così elevato.
Il bancario segnala la cosa alla sua superiore, che avverte tutto il team di sospendere la richiesta per accertamenti. Il venerdì sera la stessa funzionaria scrive all'imprenditore austriaco, facendo sapere che la banca si rivolgerà a lui una volta trascorso il fine settimana. Il giorno dopo però (sabato) altri dipendenti della banca, ignari di quanto stesse succedendo, versano quasi tutti gli importi richiesti.
Per l'istituto il versamento non ha avuto conseguenze negative. Secondo la procura, Credit Suisse non è da biasimare: ha agito secondo le direttive del Consiglio federale, che nell'ordinanza sui prestiti legati alla pandemia di coronavirus ha chiesto che venga applicata «la dovuta diligenza». Ma anche che le banche devono solo controllare le domande «sulla base della completezza e della correttezza formale». Non sono tenute a verificare che le informazione siano anche corrette in termini di contenuto.
«L'obiettivo del programma di credito Covid era quello di fornire alle piccole e medie imprese liquidità rapidamente e senza complicazioni», ha spiegato l'istituto al Tages-Anzeiger. In caso di sospetto di abuso la società lavora con le autorità competenti. «Nel dossier in questione il ministero pubblico è giunto alla conclusione che Credit Suisse non ha violato alcun obbligo».
Interpellata dalla testata giornalistica zurighese, la Segreteria di Stato dell'economia (Seco) spiega che nella situazione di emergenza in cui si trovava il paese era possibile solo un controllo rudimentale da parte delle banche. Questo ha fatto emergere un certo potenziale di abuso. In retrospettiva vengono però ora effettuate verifiche a tappeto insieme al Controllo federale delle finanze (CDF). «Normalmente, prima chiariamo la situazione e poi concediamo il credito», ha spiegato un portavoce. «Alla luce della situazione eccezionale, questa procedura è stata invertita e il prestito è stato concesso per primo, seguito dai chiarimenti».