Cugini trentenni (e curdi) hanno investito tutto per arrivare in Europa in cerca di un futuro migliore. E ora si trovano in un limbo.
ZURIGO - È incerto il futuro della Siria, dopo la caduta del regime degli Assad e la presa di Damasco da parte dei ribelli islamici, ma lo è anche quello dei rifugiati siriani in Svizzera.
Questo perché, in seguito all'evolversi della situazione nel Paese mediorientale, la Segreteria di stato della migrazione (SEM) ha sospeso le richieste d'asilo congelando in un limbo il futuro di circa 500 persone.
È il caso di Jan (37anni) e di Sherwan (34 anni) giunti in Svizzera, come tanti altri loro connazionali, dopo un viaggio infernale e con tante speranze per il futuro.
«Sono venuto qui per costruirmi una vita migliore», racconta Jan che da circa un mese vive nel Centro federale d'asilo di Zurigo, «vivo sentimenti contrastanti: da una parte sono felice per la gente in Siria ma noi che siamo qui in Europa siamo preoccupati perché non sappiamo se potremo restare. Io, e altri come me, vogliamo solo lavorare e integrarci. Di certo non vogliamo rimanere qui a “campeggiare” in un centro d'accoglienza, non fa bene alla testa», spiega.
Se dovesse essere rimpatrio, per i due cugini l'incolumità non è garantita: entrambi, infatti, sono di etnia curda: «In generale non è chiaro cosa accadrà, e per noi curdi le cose sono ancora più difficili. I miliziani islamisti, che adesso detengono il potere, hanno più volte dimostrato di essere ostili ai curdi».
«Anche se dovesse essere garantita la pace in Siria, io non tornerei», taglia corto Jan, «non ho più soldi, ho speso tutto quello che avevo per arrivare qui. Mio cugino, mio fratello e io abbiamo viaggiato passando dall'Iraq, attraversato il confine con la Tuchia e viaggiato per giorni nascosti a bordo di un camion».
Sherwan, invece, ha venduto la sua auto per pagare il passatore che lo ha fatto arrivare in Svizzera: «Il mio obiettivo adesso è quello di far arrivare qui mia moglie e i miei tre figli», e lo dice a bassa voce come se non volesse farsi sentire, «vorrei vivere qui, almeno nel medio termine, ero a buon punto con il permesso F e poi è arrivato questo “stop”...».
«Ogni tanto mi chiedo se non sarei dovuto restare con la mia famiglia a Erbil (in Iraq, ndr.) li ho lasciati lì per il viaggio che mi ha portato in Europa», si domanda, «avrei ancora i miei risparmi e almeno saremmo tutti uniti».