È la sentenza emessa oggi dalla Corte delle Assise criminali di Lugano
BELLINZONA - Bottiglie di Tignanello 2012 vendute a 54 franchi e 50 centesimi. Un prezzo bassissimo. Un’occasione troppo bella per essere vera. E infatti non lo era. Quelle bottiglie che avrebbero dovuto contenere il pregiatissimo vino toscano, che i negozi online vendono tra i 200 e i 250 franchi cadauna, in realtà contenevano un rosso «buono ma banale». Il quale non ha ingannato i nasi e i palati degli esperti di due società di San Gallo che avevano acquistato il vino contraffatto e che hanno denunciato la vicenda alle autorità competenti. Non sapendo di stare per scoperchiare un vero e proprio vaso di Pandora. Sì, perché quella che poteva sembrare una piccola truffa concernente la vendita «di qualche bottiglia contraffatta» si è presto trasformata in «un'inchiesta con strade tortuose e risvolti internazionali». Una strada che ha trovato il suo capolinea in Ticino.
Le condanne - Dietro alla cosiddetta "truffa del vino" - deflagrata nel 2018 con i primi due arresti - c'erano infatti i cinque imputati che da martedì si trovano a processo davanti alla Corte delle Assise criminali di Lugano presieduta dal giudice Amos Pagnamenta, che dopo due giorni di dibattimenti, oggi li ha condannati. Come riporta la Rsi, la mente, un 68enne svizzero, è stato condannato a 3 anni (di cui 6 mesi da espiare). Per gli altri tre, le pene vanno dai 16 mesi a 2 anni e mezzo di detenzione sospesi o sospesi parzialmente. Prosciolto il cittadino italiano di 29 anni. La procuratrice pubblica Raffella Rigamonti aveva chiesto condanne comprese fra i 12 mesi sospesi e i 4 anni di carcere. «Il castello di menzogne messo in atto dagli imputati era sofisticato», ha commentato il giudice, passando in rassegna i fatti per dimostrare come, seppur in momenti diversi, tutti gli imputati fossero consapevoli di star vendendo (o contribuendo a vendere) vino contraffatto.
Oltre un milione e mezzo di guadagno - I cinque imputati hanno spacciato oltre 70'000 bottiglie fasulle incassando circa un milione e mezzo di franchi in maniera fraudolenta. Il modus operandi prevedeva che del vino rosso "normale", buono ma non eccezionale, venisse accuratamente imbottigliato da enologi dell'Astigiano, in Piemonte, e poi smerciato - dopo aver contraffatto le etichette e le capsule dei tappi - sia in Svizzera sia in Italia. Così del vino qualunque si trasformava nel prestigioso (e costoso) Tignanello annata 2012, ma anche negli altrettanto conosciuti Amarone della Valpolicella o Sito Moresco. Con il valore della bottiglia che decuplicava nel giro di un travaso. Un vero proprio Paese del Bengodi per i venditori che lì hanno vissuto (e si sono indebitamente arricchiti) per diversi anni. Fino a che alcuni acquirenti, insospettiti sia dalla qualità (non eccelsa) del vino sia dal prezzo (troppo basso) hanno stappato la bottiglia dello scandalo. Interrompendo i brindisi. E facendo tintinnare le manette.