Presentati gli elementi legali che definirebbero «incostituzionale» il prelievo volto a frenare la fuga dei sanitari
LUGANO - Sindacati sul piede di guerra contro la "tassa sulla salute", il cosiddetto contributo al sistema sanitario a carico dei "vecchi" frontalieri, introdotto nella legge di Bilancio italiana del 2024 e volto a rimpolpare le retribuzioni del personale sanitario delle aree di confine.
All'appuntamento odierno erano presenti non solo le principali sigle italiane (Cgil, Cisl e Uil), ma anche Unia, Ocst e Syna. Lo scopo: sottolineare tutti gli elementi che qualificherebbero come «incostituzionale» il contributo (tra il 3% ed il 6% del reddito netto per i frontalieri e i propri familiari a carico), attuativo dal primo gennaio di quest'anno per le quattro regioni di confine: Alto Adige, Valle D’Aosta, Piemonte e Lombardia.
Le associazioni sindacali, oltre a numerosissimi Enti locali interni alla fascia di confine dei 20 chilometri (che definisce lo status di frontaliere fiscale), hanno già contrastato la norma. L'appuntamento odierno, serviva però per presentare un parere legale al riguardo, quindi impugnabile dal singolo per presentare un eventuale ricorso.
«Ritiro del provvedimento» - «Le organizzazioni sindacali italiane Cgil, Cisl e Uil, con il supporto delle analoghe svizzere, dopo la prima manifestazione nella storia dei lavoratori frontalieri tenuta con successo a Como lo scorso 25 maggio, richiedono il ritiro del provvedimento e il completo rispetto della legge 83/23 approvata all’unanimità del parlamento la scorsa estate», ha rimarcato Giuseppe Augurusa (Cgil).
Le ragioni sono espresse qui di seguito:
Il rispetto del diritto universale alla salute e, quindi, il diritto di accesso al sistema sanitario nazionale per tutti i cittadini italiani indipendentemente dalla condizione di reddito; la discriminazione tra i cittadini italiani e dell’Unione Europea; la violazione degli obblighi internazionali a seguito della sottoscrizione tra Italia e Svizzera del trattato internazionale sulla nuova imposizione fiscale convertito in legge e l'introduzione della doppia imposizione fiscale in violazione dei principi contro le doppie imposizioni dei Paesi OCSE, malgrado con il trattato internazionale del 2020 si fossero definite, tra le altre, le misure volte ad evitare la doppia imposizione.
Il dibattito gira attorno alla definizione del contributo, «che a nostro avviso è una tassa - ha proseguito il sindacalista -. Si tratta di una decurtazione patrimoniale evidente e costante. La fattispecie integra una vera e propria imposta sul reddito che i frontalieri pagano già alla fonte. L'accordo internazionale tra Italia e Svizzera parla chiaro: i salari restano imponibili soltanto in Svizzera. Non è possibile dunque la doppia imposizione per i vecchi frontalieri. Per quel che riguarda il diritto alla salute, poi, i frontalieri contribuiscono indirettamente con i ristorni, partecipano alla fiscalità generale con il prelievo alla fonte».
«Un pasticcio, una violazione degli accordi, ma il Governo se ne infischia» - Un concetto ribadito anche da Pancrazio Raimondo (Uil): «Questa legge è un pasticcio introdotto surrettiziamente dopo l’accordo con la Svizzera. Rappresenta una violazione palese di questo principio. Il diritto alla sanità in Italia è un’opzione esercitata entro i primi tre mesi dall’assunzione e non può discriminare il frontaliere rispetto agli altri cittadini italiani. Introdurre una tassa per accedere alla sanità, perché di questo si tratta, è un provvedimento illegittimo e per questo ne chiediamo il ritiro». «L’ordinamento italiano - ha evidenziato Raimondo - dovrebbe essere costruito in coerenza con gli accordi internazionali e il diritto europeo. Evidentemente il nostro Governo se ne infischia».
«Come faranno ad applicare la norma?» - Anche per Marco Contessa (Cisl) la norma è da rivedere. «È stata scritta in maniera improvvida e frettolosa, introdotta come emendamento alla legge finanziaria con un obiettivo: più soldi a medici e infermieri per evitarne la fuga, ma senza avere chiaro il contesto entro la quale andava costituita e senza averne chiara l’applicabilità».
Non mancano infatti i dubbi proprio riguardo l'applicabilità: «Come farà l’amministrazione pubblica a conoscere l’identità dei frontalieri e il reddito netto? Chi lo certificherà e quale sarà la percentuale pretesa? Il 3 o il 6%. Inizialmente parlavano di cifre tra i 30 e i 200 euro al mese. Poi hanno dichiarato una media di 130 euro mensili, ma il problema resta la legittimità del prelievo. Che poi, non è nemmeno chiaro chi saranno i beneficiari. E non si rischia, anche in questo caso, di generare discriminazioni? Perché ad alcuni l'aumento e ad altri no?».