Molte donne (e non solo) si trovano in una gabbia invisibile. L'esperta Luisanna Tedde: «La violenza economica è un male nascosto».
LUGANO - La storia emblematica è quella di una donna di 70 anni, casalinga da una vita, che sta divorziando. Di colpo si accorge che non può più prelevare dal bancomat e nemmeno fare acquisti o pagamenti. Si rivolge all'associazione Rete Donna. E scoprirà di non avere mai avuto un conto cointestato. È sempre stata solo una delegata. E la delega l'ormai ex marito l'ha tolta in poche ore, prima di partire per l'estero con la nuova donna.
Meccanismo subdolo – Luisanna Tedde, presidentessa di Rete Donna, si batte da anni per le pari opportunità. E si reca nelle scuole per parlare con le ragazze tra i 10 e i 18 anni su come sia importante mantenere un'indipendenza finanziaria nella vita. «La violenza economica fa parte della violenza psicologica. Non lascia lividi apparenti ed è difficile da dimostrare. È subdola. Si insinua all'interno di una coppia. Prevalentemente colpisce la donna. Ma anche l'uomo non è immune. Complessivamente riceviamo oltre 10 segnalazioni a settimana in merito».
Quando la vittima è il maschio – Il ricatto in caso di separazione finisce sotto il cappello della violenza psicologica. E riguarda spesso il maschio. «La donna chiede soldi in cambio delle visite ai figli – dice Tedde –. È purtroppo un classico. A queste cose bisognerebbe pensare con largo anticipo. Perché finché c'è l'amore tutto va bene. Poi ci si inceppa. E si scade di livello».
Lasciare del tutto il lavoro può portare guai – Diverse donne anche in Ticino subirebbero la pressione da parte dei compagni per lasciare il lavoro e occuparsi dei figli. «Questo perché molte volte il contributo economico che la donna porta a casa finisce alla tata, o all'asilo nido. E quindi per l'uomo tanto vale che sia la compagna a occuparsi dei figli. In alcuni contesti si pensa ancora che una madre lavoratrice non sia una buona madre. Lasciare del tutto il mondo del lavoro può essere un guaio. Perché poi ci si trova a volere rientrare. Con scarsa considerazione da parte dei datori di lavori che preferiscono profili più rodati o plasmabili».
Paure infondate – Il multiculturalismo rappresenta una sfida in più. «C'è chi dice apertamente: "mia moglie non lavorerà mai". Alcune donne magari non sanno bene la lingua del posto e quindi faticano a riconoscere i loro diritti. Pensano ad esempio che prendere una visita dal ginecologo sia qualcosa di illegale. Magari vogliono semplicemente farsi mettere la spirale per evitare gravidanze indesiderate. Anche in questi casi si nota la violenza economica. È il marito ad avere in pugno il gruzzolo. La moglie si deve arrangiare con una sorta di paghetta. Non ha nemmeno i soldi per la spirale. A quel punto la aiutiamo noi grazie alla rete con altre associazioni».
Diritti di tutti – Sensibilizzare i giovani è una missione basilare per Rete Donna. «Devono capire che il matrimonio non è mai una sistemazione. E che tutti hanno il diritto di studiare e imparare un mestiere. Indipendentemente dall'essere madre o meno. Anche la politica si deve dare una mossa. Incentivare i part time per tutti. Anche per i maschi che hanno assolutamente diritto di accudire i figli. Poi c'è un aspetto che dispiace: a livello statistico la violenza economica finisce nel calderone della violenza domestica. Non è giusto. È un po' come sminuire il problema. Quando tu economicamente dipendi completamente da un'altra persona, sei praticamente in trappola. Non è un tema da poco».