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CANTONE«Essere queer non è una moda. Il Ticino è conservatore»

26.11.24 - 06:30
Tanti i messaggi d'odio sotto l'articolo sulle violenze contro le persone trans. La testimonianza di Liam: «Me lo aspettavo»
Tio/20Minuti
«Essere queer non è una moda. Il Ticino è conservatore»
Tanti i messaggi d'odio sotto l'articolo sulle violenze contro le persone trans. La testimonianza di Liam: «Me lo aspettavo»

LUGANO - «A casa propria ognuno fa come vuole, in pubblico si cerca di trattenersi». «Propaganda woke martellante, volgare, blasfema, estenuante e unilaterale». O ancora: «Sempre più persone vi odiano e la colpa è solo vostra». Questa è stata la reazione sui social al nostro articolo sull'aumento di episodi di intolleranza e violenza nei confronti della comunità LGBTQ (in particolare quella transgender). Una conferma, in sostanza, del problema.

Non ci ha sorpreso più di tanto, quindi, il fatto di non riuscire a trovare nessuna persona trans disponibile ad esporsi in prima persona. Un silenzio finalmente rotto da Liam, giovane ticinese fermamente convinto della necessità di sensibilizzare su un argomento ancora tabù nella Svizzera italofona.

Raccontami un po' di te.
«Mi chiamo Liam, sono un appassionato di disegno, sirenetto part time, in tranquilla compagnia di una decina di chiocciole giganti domestiche».

Quando hai iniziato a sentire che la tua identità di genere non corrispondeva con quella biologica?
«Per me è difficile cercare di assegnare un momento preciso a questa rivelazione. Da piccolo i miei non hanno mai imposto troppi ruoli di genere e in tutti i miei percorsi scolastici/sociali sono sempre stato quello un po' strano, che non si mischiava con gli altri. Ma ci sono mille altri motivi che non si legano necessariamente al genere. Sarà buffo pensare che fino al 2019 ero ancora addirittura fiero di essere una ragazza, perché lavorando in un settore a maggioranza maschile, come quello dell'informatica e dell'industria 3D, mi sentivo quasi unica e speciale».

Poi cos'è cambiato?
«È stato durante la quarantena del 2020 che mi sono trovato a fare i conti con me stesso. L'introspezione forzata, dovuta alle circostanze, mi ha permesso di sperimentare. L'ho fatto con vari abbigliamenti, trucco, dipingendomi la barba, e immaginando come sarebbe cambiata la mia vita se fossi stato uomo. Avendo già sperimentato in passato con il cosplay, mi sembrava inizialmente solo l'estensione di quella passione, ma mi sono trovato sempre più spesso a voler essere il personaggio maschile in cui mi tramutavo. Fino a che ho iniziato a pensare che, forse, sarei stato meglio in quei panni. Era vero. Mi ci trovo molto bene».

Chi ti è stato vicino in tutto questo?
«Vorrei poter dire che la mia famiglia lo è stata, ma è stato e continua ad essere un percorso tumultuoso con loro. D'altra parte lo era già prima della transizione. Questa non ha fatto altro che sottolineare come non corrispondessi alle loro aspettative. La cosa non è andata giù soprattutto a mia madre. Mio padre e mio fratello mi hanno sostenuto di più, con l'affetto di chi vuole aiutare a tutti i costi. I miei amici invece un po' se lo aspettavano. Qualcuno è rimasto sorpreso, ma mi è comunque stato vicino, senza nemmeno sbagliare pronomi o nome».

Sul lavoro?
«I miei colleghi sono stati forse quelli di maggior sostegno. Già solo per il semplice fatto che la mia transizione ha avuto luogo lontano dal Ticino e quindi dalla mia famiglia biologica. Questa nuova "famiglia adottiva" ha potuto assistere a tutto il percorso».

Il percorso in sé come si è caratterizzato?
«Vorrei portare un punto di vista diverso su questo argomento. Trovo che ci si concentri fin troppo sul lato medico, ma nella mia esperienza personale, è stato il percorso sociale e burocratico ad essere più pesante. Il dover giustificare a tutte le persone della mia cerchia il mio percorso,ma banalmente anche il dover cambiare i documenti e di conseguenza tutti gli altri contratti, dati, formulari e archivi sparsi in giro. Anche già solo decidere a chi far sapere del cambiamento, per non parlare del come dirlo. Per quanto la gente in rete si dimostri ostile a queste tematiche, nel mondo reale poi tende a badare ai fatti propri. Per quella che è la mia esperienza ho avuto perlopiù riscontri positivi, al massimo reazioni confuse».

Sei arrivato dove volevi? Ti senti realizzato?
«Mi sento realizzato nella mia identità di artista, di uomo. Sono però consapevole del fatto che la vita va avanti e che continuerò a cambiare, come tutti/e noi facciamo nel corso della nostra vita. Adesso mi trovo nelle vesti di insegnante d'inglese e illustratore freelance. Cerco di dedicare sempre più tempo alla divulgazione dell'esperienza transgender per il mondo italofono. Trovo che ce ne sia bisogno».

Anche i media hanno una responsabilità nella sensibilizzazione su questi temi. In cosa sbagliamo?
«Spesso si dipingono una transizione o un coming out come processi sofferti, di sacrificio. Certo, non tutti hanno il lusso di viverli come ho potuto fare io, secondo i miei ritmi. Ma vorrei che si parlasse di più della gioia dello scoprirsi, del trovare gente che condivide le stesse esperienze. C'è la tendenza, anche se in toni benevoli, a vederci un po' come fenomeni da baraccone. Da mostrare e analizzare. Siamo persone prima ancora di essere queer».

Quali sono le frasi che ti danno più fastidio quando le senti?
«Mi capita spessissimo che la gente mi dica: "Anch'io ho un'amica che ha fatto il percorso da donna a uomo", usando ancora il femminile, o viceversa. È un po' come chiamare con il cognome da nubile chi si sposa e prende il cognome del partner. È una mancanza di rispetto e sembra voler sottolineare che quel percorso non vale nulla. Ancora peggio è quando si sostiene che una transizione la si faccia per moda. È ridicolo... Perché si dovrebbe rischiare la vita che si ha avuto finora per un semplice capriccio?».

Non è stato facile trovare qualcuno che si esponesse. Forse è la paura di avere troppi occhi addosso?
«Penso di sì. Io ho il lusso di essere sufficientemente distante dal Ticino per non temere che qualcuno che ce l'ha con me venga a cercarmi. Inoltre, una transizione è incredibilmente personale e intima. Sono stato accusato dal mio partner dell'epoca di volerlo fare per attirare l'attenzione. In realtà ho fatto tutto quasi di nascosto. Il Ticino è una realtà un po' conservatrice».

Conosci qualcuno che non ha avuto un percorso altrettanto fortunato?
«Conosco una persona, qui dove vivo ora, che ha avuto un'esperienza orrenda sul lavoro. I suoi capi non gli concedevano i periodi di convalescenza per le operazioni, lo chiamavano ancora col suo vecchio nome a distanza di anni dall'inizio della transizione. Fortunatamente non conosco nessuno nella mia cerchia che si sia tolto la vita. Ma non si contano i piccoli eventi che possono generare traumi. Penso a genitori violenti, costi medici insopportabili, o ancora peggio medici che non capiscono le problematiche e quindi non sanno come trattarti come paziente. Sono tutte cose che logorano, e che poi portano le persone ad andare in crisi».

Il nostro articolo voleva essere una denuncia contro la violenza. Il ritorno purtroppo è stato quello di decine di messaggi pregni di intolleranza e cattiveria verso la comunità LGBTQ.
«Vorrei dire che mi sorprende, ma purtroppo me lo aspettavo. Ho l'impressione che molte persone nel mondo italofono pensino che si tratti di una moda "americana", importata tramite i social. Sono quelli del "queste cose da noi non succedono". Essere queer è una realtà di tutti i popoli, in tutto il mondo e in ogni epoca. In questo periodo di incertezza, le tematiche queer sembrano quasi frivole. "Abbiamo problemi più importanti", dirà qualcuno. Ma credo che tutto sia interconnesso. Se non iniziamo a pensare fuori dagli schemi, non potremo trovare quelle soluzioni alternative in grado di condurci a un nuovo domani, più sano e libero. L'odio e la paura non fanno altro che creare isolamento».

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