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CANTONEFrancobolli “sbagliati”, il colera e i misteri della filatelia. Ma non si diventa ricchi

07.01.25 - 08:34
«In Ticino non esistono più commercianti e studi di filatelia in grado di consigliare ed effettuare stime».
Mario Maccanelli
Francobolli “sbagliati”, il colera e i misteri della filatelia. Ma non si diventa ricchi
«In Ticino non esistono più commercianti e studi di filatelia in grado di consigliare ed effettuare stime».

MENDRISIO - 18 giugno 1847, una lettera scritta da una signora di Mendrisio arriva nelle Antille britanniche. Destinatario un notaio del luogo al quale la donna comunica l’avvenuto decesso del marito (commerciante in quelle remote zone) e dove si chiede di liquidare le pendenze in essere, non dando retta a un presunto (e falso) nipote che millanta crediti sull’eredità.

Un documento prefilatelico come questo (non c’erano ancora francobolli svizzeri) vale, oltre al risvolto finanziario (si va sui 1000 franchi), per il fatto che narra una storia legata al territorio, all’economia e alla società. Questi atti si trovano ancora: sono buste, lettere, proclami e anche, per esempio, bollettini di spedizione con annotazioni doganali. «Fanno parte del vasto mondo della filatelia che non è limitato al solo pezzetto di carta dentellata», ci racconta Mario Maccanelli appassionato collezionista e addetto alla comunicazione del Circolo filatelico del Mendrisiotto.

Quello della filatelia è infatti un mondo universale per appassionati e semplici curiosi, che promette tante emozioni personali e non necessariamente lauti guadagni. Infatti, chi pensa di avere nel cassetto di casa un pezzo da collezione che li renderà ricchi, si sbaglia. Spesso quei vecchi francobolli attaccati a lettere sbiadite e dimenticate in un armadio, non produrranno introiti ma quasi sicuramente faranno rivivere delle emozioni passate. «Oggi è difficile trovare pezzi unici o rari». E bisogna tornare indietro di molti decenni. Francobolli svizzeri emessi dopo gli anni '60 generalmente valgono una frazione del loro valore facciale. «Spesso ci vengono chieste valutazioni di presunti “tesori”. Dobbiamo rinunciare. Non siamo commercianti, le nostre competenze, spesso comunque notevoli, si limitano ai rispettivi campi di collezione personali», racconta Mario.

Purtroppo, in «Ticino non esistono più commercianti e studi di filatelia in grado di consigliare ed effettuare stime. È attivo comunque un organizzatore di aste filateliche, molto competente. Per contro rimangono attivi sei circoli filatelici, nei quali si trovano collezionisti e studiosi» racconta sempre Mario. In questi circoli si scambiano francobolli, esperienze, consigli. «Quasi come una volta, quando i francobolli, noi ragazzini, li scambiavamo come oggi si fa con le figurine dei calciatori».

Ma allora, esperti o meno, cosa bisogna guardare per capire se si ha qualche pezzo, se non milionario, almeno capace di solleticare l’interesse all’acquisto di un appassionato e magari farci comunque guadagnare qualcosa? «Per avere un’idea di come tira il mercato guardiamo le aste, anche quelle internazionali, frequentiamo borse, ascoltiamo chi ci racconta dei suoi ultimi acquisti, navighiamo in rete».

E così ecco che «generalmente sono ricercate le rarità, documenti esistenti in pochi esemplari, i difetti nei francobolli, imprecisioni che rendono unico il pezzo» spiega. E gli esempi sono tanti. «Un musicista con lo spartito di un altro autore, un francobollo che raffigura un treno che in uscita dalla galleria del Sempione circola sul binario destro e non sul sinistro come prassi o un battello a vapore con il fumo che va controvento».

Certo è che l’interesse per la filatelia come mero investimento finanziario diminuisce. Un esempio è la serie PAX emessa nel dopoguerra con valori alti, anche 3,5,10 franchi che veniva catalogata per circa 1000 franchi, «recentemente messa all'asta online per 300 franchi e nessuno l’ha acquistata», racconta Mario.

Rimangono comunque gioielli, ma sono spesso in mano a pochi collezionisti. «Mi riferisco alla collezione di un medico che ha documentato lo sforzo per evitare contagi di epidemie (colera, peste, afta epizootica) già nei secoli scorsi con misure di disinfestazione delle lettere che venivano ricoperte di profumi alla rosa, cosparse di fumi che si credeva potessero uccidere i batteri e forate nella carta per far uscire i germi. Così da renderle, come si diceva, «sporche dentro ma pulite fuori».

Oppure la corrispondenza di militi stranieri internati in Svizzera (anche al Sanatorio di Ambri). O francobolli alberghieri, usati nei primi periodi di fioritura del turismo, per portare la corrispondenza, ad esempio da un albergo al Gottardo, al prossimo ufficio postale o ancora lettere spedite intorno al mondo a bordo di uno Zeppelin! 

Curiosi anche i bollettini di spedizione di pacchi transitati in dogana, ad esempio a Chiasso, rimandati al destinatario perché l’importazione in Italia di prodotti quali dadi era proibita. Storia di un’epoca di traffico transfrontaliero.

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