Walter Ricciardi, membro dell'OMS, ha bacchettato la politica europea, lenta e distratta nell'affrontare il coronavirus.
«Per il vaccino serve tempo. Arriverà prima la terapia con i farmaci già a nostra disposizione».
ROMA - Contagiati, tamponi, percentuale di mortalità, immunità di gregge e curve. Nelle ultime settimane, quelle marchiate dal Covid-19, siamo tutti diventati – a torto – un po' esperti di virus e derivati. In tanti hanno dato pareri e indicato soluzioni; in pochi avevano e hanno però i titoli per parlare di un contagio che, partito dalla Cina, è esploso in tutto il suo fragore anche in Occidente. Uno di questi è sicuramente Walter Ricciardi, medico e docente universitario, in Italia consigliere del ministro della Salute e membro dell'executive board dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.
«Non ci lasceremo alle spalle questo contagio prima dell'estate, prima di giugno-luglio almeno – ha specificato il 60enne professore italiano – dico questo basandomi su quanto accaduto con la SARS, che sparì verso maggio-giugno. Nel nostro caso il modello di sviluppo epidemiologico è più grave, anche se la malattia ha un tasso di mortalità più basso».
Ciò significa che fino all'estate l'economia europea rimarrà bloccata?
«No, spero di no. Parlavo esclusivamente dal punto di vista della salute. In base a quel che diranno i numeri, si potranno attuare misure diverse. Ma sarà una battaglia lunga e dinamica».
Questi virus spariscono, o attenuano la loro aggressività, d'estate per via delle temperature?
«Questa è una bufala. È vero che i virus respiratori hanno una predilezione per le basse temperature, ma il Covd-19 sta ora diffondendosi in Australia. L'interruzione del contagi è dovuta ad altri fattori».
Alle misure attuate.
«Perfetto. Quanto più queste sono mirate e seguite dalla popolazione, tanto più riescono ad avere effetto».
Intorno al coronavirus c'è, a volte, molta confusione. Il numero di contagiati, per esempio, è alla base di un feroce dibattito.
«Ci sono paesi, come l'Italia, che hanno effettuato un numero molto grande di tamponi, altri come la Germania e la Francia, che invece hanno scelto altre strade. Da qui la grande discrepanza nei numeri».
In Italia il tasso di mortalità è molto più alto rispetto alla media mondiale.
«Anche in questo caso dipende dal numero di test fatti e dai soggetti che si è scelto, appunto, di testare. Io credo che per avere delle cifre attendibili ci si debba attenere ai dati globali, che parlano di tasso di mortalità del 2%-3% dei contagiati».
Partendo da quel dato, si potrebbe risalire al reale numero di contagiati di un Paese. In base a quello si potrebbe dire che nel mondo, tenendo conto delle oltre 8'000 vittime, ci siano circa 400'000 contagiati?
«Ovviamente non ci sono numeri certi né ufficiali. Un conto del genere potrebbe tuttavia anche essere attendibile. Di sicuro, i contagiati reali – tenendo conto degli asintomatici - sono molti, molti più di quelli finora trovati».
In questo momento, più che dei singoli stati, il Covid-19 è un problema internazionale. Come OMS non avete la possibilità di coordinare le azioni di contenimento?
«Parlando di Europa, i trattati presenti non autorizzano la centralità delle decisioni. Gli stati membri hanno piena autonomia di scelta e movimento. I trattati attuali sono da considerare una debolezza in questa emergenza».
In Europa il virus ha cominciato a diffondersi dall'Italia?
«È difficile dirlo. Di certo in Italia ci sono stati dei focolai importanti. È però presumibile che il coronavirus si sia sviluppato in diverse aree del continente e che, semplicemente, l'Italia sia stato il Paese mossosi prima per tentare di arginare il contagio. Come OMS, dall'inizio della crisi abbiamo fatto tre riunioni con i vari rappresentati degli stati continentali. Abbiamo fatto presente che il problema non era solo italiano. Al primo incontro nessuno ci ha ascoltato. Solo dal secondo, qualcuno dal terzo, hanno cominciato a prenderci sul serio. E così è stato perso tempo prezioso».
Francia, Germania, Austria, la Svizzera... molti alla fine hanno seguito l'esempio italiano.
«Con colpevole ritardo secondo me. Quello che stava accadendo nella Penisola era evidente, come evidente era il fatto che il contagio si sarebbe diffuso. Invece che muoversi velocemente, gli altri stati hanno però preferito temporeggiare».
Il distanziamento sociale si sarebbe dovuto effettuare ovunque molto prima?
«Gli altri Paesi, la Svizzera in testa, il vostro Ticino, tenuto conto di quanto stava accadendo avrebbero limitato i problemi se avessero attuato tempestivamente le misure poi, una volta spalle al muro, effettivamente prese. Avevano un enorme vantaggio sull'italia e non l'hanno sfruttato. La Spagna per esempio, vedrete, alla fine avrà probabilmente una curva più “importante” di quella italiana. Ma per tutti sarà dura».
La Svizzera è un unicum. Il Ticino si è mosso prima degli altri cantoni...
«In una situazione “epidemica”, gli stati che hanno una catena di comando frammentata sono soggetti a una debolezza di sistema. Le soluzioni differite possono costare caro».
Il ritardo nell'attuazione delle restrizioni, pensiamo alla Gran Bretagna, potrebbe favorire il cosiddetto contagio di ritorno?
«Con un virus nuovo come questo è molto probabile. Se avrà molti contagiati, la Gran Bretagna potrebbe rivelarsi, tra qualche mese, un problema per l'Europa continentale. Per tutte quelle persone che avranno scampato la prima ondata di malattia. Basta guardare alla Cina. Il Covid è stato controllato nell'area di Wuhan, il resto della popolazione però è ancora a rischio».
Si dovrà quindi vivere a lungo nell'incertezza?
«La prima preoccupazione, in questo momento, deve essere quella di appiattire la curva epidemica. Ed è questo che si sta provando a fare con il distanziamento sociale. Il secondo passo? Una volta che le misure prese garantiranno un posto letto a tutti quelli che ne avranno bisogno, si dovrà trovare un vaccino o una terapia specifica con il quale combattere il Covid-19. Io credo che per il vaccino serva tempo. Arriverà prima la terapia con i farmaci già a nostra disposizione».