Le prime settimane del nuovo governo argentino sotto la lente. L'esperta: «Il presidente è diventato molto più realista e pragmatico».
Oggi è in programma lo sciopero generale indetto dai sindacati, un primo barometro importante per testare la pazienza della popolazione.
BUENOS AIRES - Basettoni, capelli arruffati e faccia indemoniata mentre sbandiera lo slogan: «No hay plata» (non ci sono soldi). Oppure in versione grande inquisitore mentre taglia il Ministero della Cultura e altri nove al grido di: «Afuera!». I comizi e le uscite pubbliche di Javier Gerardo Milei, neo presidente argentino eletto lo scorso 10 dicembre, hanno attirato l’attenzione di tutto il mondo. La teatralità di El Loco (come viene soprannominato in patria) ha contraddistinto anche le prime settimane del suo governo.
Milei è chiamato a risanare l’economia di un Paese in cui l’inflazione viaggia a oltre il 200% e dove la metà della popolazione, tra salari, pensioni e sussidi, dipende interamente dalle casse dello Stato. Un'impresa titanica per la quale farà affidamento alla sua "motosega", non solo in senso figurativo, per dimezzare l’enorme spesa pubblica argentina.
I primi a farne le spese? Gli ñoquis (letteralmente "gnocchi"). Secondo la tradizione argentina alla fine del mese, quando ormai il frigo è vuoto e si attende il prossimo stipendio, si mangiano gli gnocchi, importati dagli immigranti italiani (e ticinesi). L’espressione, in politica, si riferisce invece ai dipendenti statali che, per pigrizia, non si fanno mai trovare in ufficio, salvo a fine mese, quando viene distribuita la paga.
La svalutazione del pesos e la liberalizzazione del mercato
In poco più di un mese governo, Milei non ha perso tempo. Pochi giorni dopo essersi insediato alla Casa Rosada ha annunciato la svalutazione del peso, la moneta nazionale, del 54%, «affinché - aveva dichiarato il ministro dell'Economia, Luis Caputo - il settore produttivo abbia un incentivo ad aumentare la produzione».
«Era una manovra molto attesa», ci ha spiegato Antonella Mori, responsabile del programma America Latina dell’ISPI. «In campagna elettorale Milei parlava di dollarizzazione e di chiudere la banca centrale argentina, ma sembra aver accantonato questi progetti». Il neo presidente deve infatti fare i conti con una coalizione di governo che non sempre si allinea sulle sue posizioni estremiste.
L'obiettivo è ridurre la presenza dello Stato e liberalizzare il mercato. Dopo la svalutazione del peso, Milei ha firmato il Decreto de Necesidad y Urgencia “Bases para la Reconstrucción de la Economía Argentina”, entrato in vigore il 29 dicembre ma già fortemente contestato dalla giustizia argentina. «La nuova amministrazione intende cambiare tante cose. La Costituzione prevede la possibilità di fare questi decreti di necessità e urgenza quando c'è una situazione di necessità e urgenza». Il margine di manovra è però limitato a temi e ambiti precisi. «Per esempio non comprende l'aspetto fiscale. Oltre ad aver fatto questo decreto di urgenza, ha anche fatto una proposta di legge molto più ampia. Un progetto che comprende più di mille interventi, tutti che guardano lo stesso obiettivo: liberalizzare i mercati, deregolamentare e privatizzare». La forte presenza dello Stato in Argentina richiede interventi urgenti, perché «le norme da togliere sono tantissime».
Una popolazione allo stremo
Una falce, una motosega, che non sarà indolore per la popolazione. Milei ha già messo le mani avanti: «All'inizio le cose peggioreranno». Gli argentini sono quindi chiamati a digerire un boccone molto amaro prima della tanto attesa svolta. «Non è ancora chiaro come la popolazione reagirà». Milei promette di riportare il Paese agli antichi splendori, «però al momento le cose stanno peggiorando, in termini di inflazione». Oggi, mercoledì 24 gennaio, potremmo avere una prima risposta. Lo sciopero generale, indetto dai sindacati, sarà un barometro affidabile della pazienza degli argentini. «Rimuovere i sussidi in alcuni settori, come ad esempio i trasporti, non aiuta la popolazione. L’inflazione continua ad aumentare. Fino a quando gli argentini saranno disposti ad aspettare?»
I sindacati, dal primo giorno del nuovo governo, hanno cercato in tutti i modi di contenere la “cura Milei”. «Sono all'opposizione e sono contrari a questa spinta verso una totale deregolamentazione e liberalizzazione del mercato». Nel frattempo la polizia di Buenos Aires si prepara a contenere la manifestazione. «Cercheranno di portare in piazza il maggior numero di persone, ma è difficile prevedere cosa potrà accadere. Perché la situazione è così deteriorata che, dal punto di vista macroeconomico e sociale, questi cambiamenti possono portare a una speranza. Però bisogna capire fino a che punto gli argentini saranno disposti ad aspettare».
Senza la coalizione non si governa
La pazienza della popolazione non è l'unica insidia del nuovo governo. Il partito di Milei, La Libertad Avanza, non dispone della maggioranza in Parlamento. Governare in queste condizioni non è facile. Sarà costretto a concedere qualcosa ai suoi avversari. «Il suo partito è nuovo e ha bisogno del sostegno di altre forze politiche per governare. All’interno della sua coalizione ci sono partiti più di centro e meno radicalizzati». Una realtà che ha costretto lo stesso Milei a rivalutare alcune promesse fatte durante la campagna elettorale. «Molte cose sono cambiate: è diventato più realista».
Ha fatto marcia indietro sulla dollarizzazione (perché i dollari non si stampano da soli e ora Buenos Aires non ne dispone). Sembra aver accantonato anche l'ambizione di chiudere la banca centrale (un progetto che appunto resterà un'ambizione). Ma anche in politica estera si scontra con le esigenze di mercato. «È inutile pensare che l'Argentina possa fare a meno di Cina e Brasile, i principali partner commerciali. Milei ha giurato di non sviluppare grandi rapporti diplomatici con questi paesi. Il business però è libero di fare quello che vuole. In realtà anche a livello diplomatico Milei sta portando avanti le relazioni con il Brasile, il vicino di casa più importante, e anche con la Cina».
Fare previsioni è sempre un gioco delicato, eppure secondo quanto anticipato dagli analisti i primi risultati non si vedranno prima del 2025. «Lo stesso Milei afferma che ci vorrà almeno un anno. Le manovre che sta portando avanti nel breve periodo peggioreranno la situazione». I tempi sono quindi lunghi. Milei riuscirà solo se l'opposizione non sarà in grado di catalizzare lo scontento della popolazione. «L’esito dipende dalla disponibilità degli argentini ad attendere un miglioramento. Potremmo però assistere a una svolta anche prima del previsto. Ricordiamo che gli argentini hanno una quantità enorme di dollari all'estero, si stima duecentocinquanta miliardi di dollari argentini. Grazie alla liberalizzazione in atto, questi capitali potrebbero tornare in patria».