Violenti scontri tra i ribelli filo-ruandesi M23 e l'esercito governativo
KINSHASA - Esplosivi abbandonati, armi e uniformi militari disseminati qua e là, ma soprattutto cadaveri nelle strade: è il tragico scenario in cui è ripiombato il Congo da quando sono cominciati gli scontri a fuoco tra i ribelli filo-ruandesi che vanno sotto il nome di M23 e l'esercito governativo.
Le ragioni del conflitto: le enormi risorse naturali congolesi, dall'uranio all'oro - Un conflitto le cui ragioni, più che nelle discriminazioni di cui sarebbe vittima la minoranza "tutsi" come lamentato dai ribelli, vanno ricercate nelle enormi risorse naturali che dimorano sotto il suolo congolese: dal cobalto all'uranio, ma anche oro, coltan e rame, tutta materia prima di primo ordine per la tecnologia di oggi.
Cento morti e 1000 feriti - La guerra che infuria tra le opposte fazioni sta lasciando sul terreno un tragico bilancio di vittime: le autorità parlano già di 100 morti e almeno 1000 feriti. Ma non finisce qui: il confronto armato sta generando massicci sfollamenti in questa parte nord-orientale del Paese, con «oltre 178mila persone in fuga» hanno dichiarato le Nazioni Unite.
Gli attacchi alle ambasciate di Francia e Stati Uniti - Al caos si aggiunge caos: da un paio di giorni la popolazione è scesa in piazza per manifestare contro questa situazione di grave disordine in cui versa il Paese (prendendosela anche con il presidente Felix Tshisekedi di cui è stato annunciato un discorso alla nazione) sfogando la sua rabbia contro alcune rappresentanze diplomatiche occidentali e attaccando le sedi delle ambasciate di Stati Uniti, Francia e Belgio, appiccando anche il fuoco in alcune parti degli edifici. Proprio a seguito di queste violenze, il governo ha emanato il divieto di manifestare fino a nuovo ordine.
La Croce Rossa Internazionale: «Impatto devastante per la popolazione» - Drammatico il resoconto che arriva dalle organizzazioni umanitarie impegnate a soccorrere i civili: il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) parla di «impatto devastante sulla popolazione inerme» e di «massiccio afflusso di persone con gravi ferite da armi da fuoco», fra queste «un gran numero di donne e bambini spesso trasportati in moto o in autobus» ha dichiarato Myriam Favier, capo della sotto-delegazione del CICR nella città di Goma. «L'intero ospedale è stato mobilitato e tre équipe chirurgiche stanno lavorando 24 ore su 24 per curare i pazienti, alcuni dei quali sono stati costretti ad aspettare sdraiati sul pavimento a causa della mancanza di spazio» ha aggiunto.
Massacri e violenze sessuali: la denuncia delle Nazioni Unite - L'ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari, per bocca del suo portavoce Jens Laerke ha avvertito che «gli ospedali sono sovraccarichi e faticano a gestire l'afflusso di feriti» e evidenzia come «abbiamo informazioni di violenze sessuali compiute dai combattenti». Anche l'OMS - attraverso la coordinatrice locale della risposta alle emergenze, Adelheid Marschang - dichiara che vi sono «molti morti anche fra gli operatori sanitari» e di «neonati feriti a causa del fuoco incrociato».
Lo scambio di accuse fra Congo e Ruanda - Mentre nelle strade infuria la guerra, non si risparmiano colpi a suon di dichiarazioni il Ministro degli Affari Esteri della Repubblica democratica de Congo, Thérèse Kayikwamba, che ha dichiarato che le azioni del Ruanda, «costituiscono crimini contro l'umanità» e il rappresentante alle Nazioni Unite del governo ruandese Ernest Rwamucyo, che replica dicendo che «il deterioramento della situazione nell'est della RDC ha una sola causa immediata: l'ossessione del presidente della RDC per una soluzione militare e la sete di un cambio di regime in Ruanda». Intanto - secondo quanto riportato dall'Agenzia di stampa congolese (Acp) - «il presidente della Repubblica Democratica del Congo, Félix Tshisekedi, non parteciperà al vertice virtuale dei capi di Stato della Comunità dell'Africa orientale per motivi di programmazione», non incontrando quindi l'omologo ruandese e smarcandosi di fatto dall'iniziativa messa in campo dal Kenya che aveva mosso la sua diplomazia per attenuare i contrasti fra i due Stati.