L'annuncio del ritiro delle truppe Usa preoccupa la popolazione afghana che teme il ritorno di violenze e oppressione
KABUL - Con la decisione, esplicitata ieri, di ritirare le truppe americane dall'Afghanistan, Joe Biden è riuscito a realizzare una mossa che all'amministrazione Trump non era riuscita ponendo la parola fine a quella che negli States chiamano la «longest war» (la guerra più lunga, ndr.) e che in 20 anni è costata la vita a circa 2'300 militi americani.
Ma se per gli States, e gli alleati che hanno detto che li seguiranno nell'uscita dal Paese, potrà anche essere un sollievo così - si teme - non sarà per i civili autoctoni. Il motivo è la costante belligeranza dei talebani che, malgrado l'impegno decennale della campagna americana, sono stati tutto fuorché neutralizzati.
Questi hanno rifiutato un incontro pacificatore previsto a Istanbul il prossimo 24 aprile, e si teme quindi che gli scontri con le forze afghane possano intensificarsi e che il controllo talebano, soprattutto nelle province, possa farsi ancora più forte.
A farne le spese, come spesso capita in questi casi, la popolazione civile che teme ritorsioni e il ritorno del rigido giogo degli estremisti.
Stando ai dati diffusi dall'ONU, le violenze in Afghanistan sono aumentate in maniera sensibile nell'ultimo anno e il controllo del gruppo islamista si è diffuso in maniera considerevole. Negli ultimi 6 mesi sono 8 i giornalisti uccisi in attentati talebani mirati a media e istituzioni.
Ma a preoccuparsi sono soprattutto le donne che temono di perdere improvvisamente tutti diritti guadagnati nell'ultimo ventennio, come quello all'istruzione.
«Gli americani se ne vanno», ha raccontato una studentessa universitaria di Herat ai corrispondenti del Guardian, «ci aspettano tempi terribili con i talebani, ho paura che non potrò più uscire di casa, e figurarsi fare quello che sto facendo ora».