Il cadavere di Zoreslav Zamoysky è stato identificato fra i corpi massacrati di Bucha
KIEV - La verità a caro prezzo. Dall'inizio della guerra in Ucraina sono rimasti uccisi 21 giornalisti, in diversi sono stati feriti e molti sono passati anche dalla prigionia e dalla tortura. «Questa guerra non risparmia nessuno: prende la vita di soldati, civili e operatori dei media».
«Viviamo secondo le circostanze». Sono queste le ultime parole scritte da Zoreslav Zamoysky nel suo ultimo post Facebook, apparso il 4 marzo. Oggi l'Unione nazionale dei giornalisti ucraini (Nsju) riporta la sua morte. È l'ultimo, per ora, di 21 professionisti dei media deceduti mentre raccontavano al mondo quanto accade giorno per giorno durante la guerra in Ucraina. Come ricorda la Nsju, «era un attivista e giornalista freelance, che ha contribuito al sito "Information Portal" e alla risorsa "Hromada Priirpinnia"». Il suo corpo è stato trovato a Bucha «con segni di morte violenta» in Bohdan Khmelnytsky Street.
Sin da due giorni dopo l'inizio del conflitto armato tra Federazione russa e Ucraina, le notizie di giornalisti feriti o uccisi si sono moltiplicate. Già il 26 febbraio veniva reso noto che un giornalista e un fotografo danesi avevano riportato gravi ferite. Il primo operatore dei media deceduto in questa guerra si chiamava Eugene Sakun, morto il primo marzo sotto il bombardamento della torre della televisione di Kiev insieme ad altre quattro persone.
Solo dal tre aprile a oggi, sono deceduti tre giornalisti. Il 12 l'ingegnere video Roman Nezhyborets, che lavorava per il canale televisivo Chernihiv "Dytynets", è morto in una sparatoria. L'8, invece, veniva riportata la morte del giornalista e scrittore Yevhen Bal, che sarebbe stato rapito e poi rilasciato con segni di forti percosse e ferite che sono poi state indicate come causa del suo decesso.
«Un obiettivo ben preciso» - Secondo Reporter senza frontiere, un'Ong che difende la libertà di stampa, «i giornalisti sono un obiettivo preciso del regime di Putin - ogni gesto conta nella resistenza, anche dire al mondo cosa si cela dietro la cortina di terrore in Ucraina». Un'opinione condivisa anche da Nsju, «la Russia non vuole che il mondo sappia la verità sulla sua cosiddetta "operazione speciale", quindi gli obiettivi sono quelli che indossano giubbotti antiproiettile con la scritta "stampa"»
Va sottolineato che non tutti i professionisti dei media morti in guerra hanno perso la vita solo perché stavano documentando. Come si legge in un comunicato di Nsju, «ci sono anche vittime tra i giornalisti che durante la guerra hanno deciso di prendere volontariamente le armi - si sono uniti alle forze armate dell'Ucraina o alla difesa territoriale». È il caso, ad esempio, di Bohdan Khmelnytsky. Il suo decesso però non viene conteggiato nella lista ufficiale fornita dal sito, proprio perché al momento della sua morte non stava svolgendo il suo lavoro di cronista.
Non solo vittime ucraine - Come sottolineato sempre dalla Nsju, «questa guerra non risparmia nessuno: prende la vita di soldati, civili e operatori dei media». I professionisti dei media uccisi toccano infatti diverse nazioni, come ad esempio la Lituania. All'inizio di aprile si è saputo ad esempio della morte del regista e documentarista lituano Mantas Kvedaravičius.
Su di lui, il difensore civico per i diritti umani Lyudmyla Denisova fornisce alcuni dettagli via Telegram: «È stato fatto prigioniero, poi gli hanno sparato. Gli occupanti hanno gettato il cadavere del regista in strada. Sua moglie, rischiando la vita, ha portato il suo corpo fuori dalla città occupata fino in Lituania».
C'è un caso che ha toccato anche la Svizzera. Guillaume Briquet, un fotografo svizzero, il 6 marzo si trovava su una strada tra Mykolaiv e Kropyvnytskyi. È stato preso di mira da dei colpi di arma da fuoco dopo aver superato un controllo. Non è morto, ma ha riportato delle ferite al volto e all'avambraccio.
Tenuti in ostaggio - In otto settimane di conflitto, in decine sono stati tenuti in ostaggio se non per ore, per giorni. Come scrive Reporter senza frontiere, «l'8 marzo 50 giornalisti che lavoravano nella torre della televisione di Berdiansk sono stati trattenuti dai soldati per più di cinque ore e hanno subito violenza fisica perché si erano rifiutati di diffondere la propaganda del Cremlino».
Di altri invece si hanno ancora notizie frammentarie: Dmytro Khilyuk, corrispondente per Unian, è scomparso il quattro marzo. Secondo alcuni testimoni, sarebbe stato rapito dall'esercito russo.