Icilio Polidoro, infermiere e membro ComitatoVPOD Ticino
Come infermiere attivo presso l’Ente ospedaliero cantonale non posso che concordare sul fatto che “gli applausi non bastano”. L’Associazione svizzera infermiere e infermieri (ASI) ha scritto una lettera aperta al Parlamento federale. Nella lettera aperta vengono rivendicati alcuni punti importanti, che sono sostenuti anche dal Sindacato del personale dei servizi pubblici e sociosanitari VPOD Ticino. L’ASI ha denunciato le debolezze del sistema sanitario svizzero emerse nella gestione della pandemia da COVID-19. Nello specifico ha rimarcato la carenza di dispositivi di protezione individuale al personale sanitario, la sospensione da parte del Consiglio federale delle disposizioni della legge sul lavoro relative al tempo di lavoro e di riposo (che ha avuto un impatto pesante nelle strutture sanitarie senza contratti collettivi di lavoro, come avviene spesso Oltralpe) e infine l’insana dipendenza della Svizzera dal personale sanitario formato all’estero.
Tema quest’ultimo sul quale nei giorni scorsi il segretario VPOD Ticino Raoul Ghisletta ha presentato due importanti proposte parlamentari. La prima proposta vuole migliorare le condizioni di formazione dell’insieme del personale sociosanitario (dagli infermieri agli educatori, senza dimenticare assistenti di cura, operatori socioassistenziali e sociosanitari, le professioni medico-
tecniche), adottando concetti base come un salario minimo durante la formazione e l’obbligo per le strutture sociosanitarie di formare allievi e apprendisti. La seconda proposta è volta a ridurre l’abbandono precoce della professione infermieristica (quasi un infermiere su due), agendo contro i fattori di insoddisfazione evidenziati da uno studio pubblicato dall’Osservatorio svizzero della sanità nel 2016. I principali fattori di insoddisfazione per gli infermieri sono la burocratizzazione (78% insoddisfatto), la cattiva gestione dei problemi di esaurimento o burn out da parte delle strutture sanitarie (72% di insoddisfatti), il diritto di partecipare alle decisioni (62% insoddisfatto); il salario (49% insoddisfatto); la possibilità di sviluppo nell’azienda (49% insoddisfatto); la conciliazione tra vita privata e lavoro (41% insoddisfatto) e la proporzione tra numero di infermieri e pazienti (40% insoddisfatto).
Occorre pertanto agire se si vuole che il nostro sistema sociosanitario -che comprende gli ospedali, le strutture per anziani e invalidi, l’assistenza e cura a domicilio, la rete ambulatoriale e il primo soccorso- sia solido, di qualità e risponda in modo appropriato ai bisogni della popolazione. Oltre all’impatto della crisi del COVID-19, non dobbiamo dimenticare fenomeni strutturali come l’invecchiamento della popolazione e l’aumento delle malattie croniche, che influiscono pure sulla necessità crescente di personale sociosanitario. Eppure l’amara costatazione è che la politica da anni si è addormentata, adagiata su un letto di indifferenza e risparmi, tranne quando in ballo ci sono nomine prestigiose e pianificazioni ospedaliere. Il personale sanitario in questi giorni lo dice a gran voce: «Ci chiedete sforzi e sacrifici, lo facciamo con passione e dedizione, ma è ora che anche voi diate un segnale forte in nostro sostegno per condizioni lavorative migliori, per un aumento dei salari e per il rafforzamento della formazione». Insomma, occorre un maggior riconoscimento delle professioni sociosanitarie!