Nadia Canella, caporeparto alla Casa Anziani di Sementina
In seguito a quanto letto sui giornali non posso rimanere in silenzio e subire senza raccontare il mio stato d’animo. A differenza di chi non vuole esporsi, io voglio presentarmi, sono Nadia Canella, infermiera capo reparto presso la Casa Anziani di Sementina dal 1993. In questi anni di attività lavorativa mi sono trovata confrontata con tante situazioni, ma questa è quella che ha avuto un impatto più devastante sia a livello di presa a carico, sia a livello gestionale e emotivo. Per chi la vive da fuori sembra tutto scontato e assurdo, ma non è così evidente per chi è in prima linea. Comprendo e sono vicina a chi ha perso il loro caro, ma nello stesso tempo sono distrutta e mortificata nel leggere questi sentimenti di rabbia, indignazione vissuta da alcuni parenti.
Ci siamo da sempre, c’eravamo anche questa volta in un angolo, pronti a combattere un nemico invisibile che per sfortuna o fatalità ha voluto annidarsi nel nostro tranquillo luogo di vita, dove per anni abbiamo curato e amato ogni residente che ha fatto parte della nostra famiglia. Siamo stati colpiti in modo devastante, ma ogni giorno abbiamo lavorato ininterrottamente per garantire le cure, rispondere ai bisogni di ogni singolo ospite, confortare, sostenere i famigliari e gestire un nemico invisibile e a volte mortale. Ben presto ci siamo resi conto della sua virulenza, nonostante le nostre continue attenzioni, precauzioni e dispositivi di protezione adottati e messi in atto. Abbiamo dovuto affrontare situazioni di cure complesse, gestire l’emergenza e con grande sofferenza arrenderci difronte alla morte dei nostri affezionati residenti. Per chi come me ha dovuto vivere di persona questo subdolo periodo cominciato a marzo e ancora in corso, non è stato per niente facile e scontato e sicuramente gli articoli usciti, non hanno aiutato ne contribuito a mantenere un ambiente di lavoro sereno, ma mi hanno lasciato un amaro in bocca. Sono mortificata per quanto si legge, “che un Istituto o il personale abbia peccato di negligenza, non abbia curato o assistito ogni singolo residente in modo adeguato attenendosi alle direttive cantonali!”
Credo che in un periodo di emergenza pandemica si ha bisogno di solidarietà, umanità e comprensione da parte di tutti e non certo di critiche e sentenze dettate da rabbia, incomprensione o poco rispetto sull’operato e cure prestate. Ogni operatore era cosciente di poter contrarre il virus, ma nonostante la paura e la preoccupazione si è messo a disposizione per prestare tutte le cure necessarie per vincere questa dura battaglia. Quando si lavora in ambiti sanitari sei sempre esposto a un rischio maggiore, nonostante adotti i DPI (dispositivi di protezione individuale), le norme d’igiene e i criteri di sicurezza che la professione impone. Tutto questo è accaduto anche negli ospedali dove gli operatori lavorano con pazienti Covid, ma non ha suscitato la stessa reazione.
Sono cosciente e credo non sia stato facile per nessuno, famigliari, personale, direzione, ma soprattutto per i residenti stessi essere privati dei loro affetti più cari e trovarsi costretti a vivere le loro giornate nella propria camera, comprendere cosa stava succedendo nel vederci trasformati e non più riconoscibili sotto i DPI e da ultimo accettare l’isolamento come forma preventiva. Voglio ricordare a tutti che nelle strutture per Anziani vi sono residenti con disturbi cognitivi, comportamentali, psichiatrici correlate anche a una incapacità di comprensione e adattabilità che non ha certamente aiutato nell’immediato e con tempestività ad applicare nelle 24 ore le direttive cantonali in continua evoluzione.
Con questo mio scritto voglio trovare quella forza e coraggio di potercela fare, siamo stati travolti e soffocati da qualcosa di sconosciuto. Tutto questo ci ha insegnato a non mollare e arrendersi, ma trarre solo degli insegnamenti significativi per un prossimo futuro e aiutarci a ripartire più ricchi di esperienza e consapevoli che solo l’unione, potrà permetterci di ricostruire un immagine di rispetto, affetto e riconoscenza verso quel luogo di cura e di vita per cui ogni Istituzione di cura nasce.