Giuseppe Cotti, Vicesindaco di Locarno, Candidato al CN per il Centro
Dall’inizio di quest’anno, la Polizia comunale di Chiasso è intervenuta più di 400 volte (!) per chiamate che riguardavano gli ospiti dei Centri federali di asilo: in 215 occasioni, sono stati riscontrati reati. Di fronte a quella che è chiaramente una situazione critica, la Confederazione si è fin qui limitata a ignorare il problema, e quando non ha più potuto ignorarlo è passata a un approccio fatto di minimizzazioni e qualche pacca sulle spalle.
A Zurigo, invece, sembra che la tolleranza per i disagi sia molto più bassa che nel Mendrisiotto. È bastata una violenta rissa, durante un evento della comunità eritrea, perché le autorità precipitassero in uno stato di allarme totale – al punto che perfino da ambienti socialisti (!) è giunta con incredibile rapidità la richiesta di revocare lo statuto di protezione a quei richiedenti eritrei che parteggiano per il dittatore.
La mancanza di attenzione e di solidarietà verso le regioni meridionali del Ticino, da parte della Confederazione e del resto del Paese, è difficile da accettare. La politica di asilo svizzera è chiamata a rendersi conto che qualcosa è cambiato, nelle dinamiche migratorie dall’Africa all’Europa, e che questi cambiamenti vanno affrontati rapidamente. Il Ticino non può più essere trascurato, e le politiche federali devono adattarsi alla realtà di un netto aumento delle domande d'asilo e dei problemi che vi sono collegati.
I dati parlano chiaro, e lo fanno fin dal 2020: limitandoci però ai soli primi sei mesi dell'anno in corso, le domande d'asilo nell'UE e nell'AELS sono state 519.000, con un aumento del 28% rispetto allo steso periodo dell’anno precedente. Considerando le medie storiche, ciò significa che entro Natale sarà superata la soglia del milione: un dato preoccupante, che riporta l'Europa in uno stato di crisi simile a quello del 2015.
A differenza della crisi dei rifugiati precedente, però, oggi assistiamo a un allargamento della gamma dei Paesi d'origine. Oltre a Siria e Afghanistan, fra i protagonisti in questa sfida umanitaria figurano infatti anche Turchia, Venezuela e Colombia. Come se questo non bastasse, va ricordato che nel 2022, su 422.400 decisioni di rimpatrio emesse nell'UE, solo il 23% è stato effettivamente eseguito. Questo indica che il sistema non solo non riesce a gestire efficacemente il flusso migratorio, ma fatica anche a garantire il rispetto delle decisioni prese.
I cambiamenti nelle vie di accesso all'Europa sono altrettanto impressionanti, nella loro rapidità. L'incremento dei flussi nel Mediterraneo centrale e la perdita di attrattività della rotta balcanica dimostrano che le politiche degli Stati di destinazione devono essere improntate al massimo grado possibile di flessibilità. Se questo non accade, sono le regioni di confine come il Ticino le prime a subire le conseguenze – ma la politica federale continua a ignorare in gran parte il problema.
La Svizzera, rinomata per la sua neutralità e il suo impegno storico a fornire rifugio a coloro in cerca di protezione, è davanti a una sfida complessa, in un contesto internazionale mutevole e altamente problematico. Adattare le nostre politiche d'asilo e assicurare una gestione efficace dei rimpatri sono imperativi assoluti. Solo così il nostro Paese potrà mantenere la sua tradizione umanitaria e dimostrare la dovuta equità, accogliendo solo coloro che hanno un reale bisogno.
Solo così, inoltre, potremo evitare che singole porzioni del nostro Paese debbano pagare il prezzo delle inadempienze delle autorità federali.