Il voto contro il burqa spaventa il settore: «Viviamo già la crisi peggiore da 70 anni, non aggiungiamoci altro».
I timori di Hotelleriesuisse e delle altre associazioni riunite in un comitato che si batte per una «Svizzera aperta e cosmopolita»
BERNA - S’avvicina il voto del 7 marzo che deciderà l'eventuale divieto di girare in Svizzera col volto coperto da un burqa o un niqab. Tra chi attende l’esito del voto con una certa ansia ci sono gli operatori turistici che, non a caso, hanno dato vita a un comitato contrario all’iniziativa. Perché ad essere colpiti sarebbero soprattutto i visitatori arabi degli Stati del Golfo. Ospiti che pesano oro. Abbiamo chiesto una reazione alle associazioni turistiche.
I pernottamenti - Ma prima i numeri. Secondo Hotelleriesuisse, il nostro Paese nel 2019 ha registrato un totale di 863.767 pernottamenti di persone provenienti dal Golfo, pari a circa il 2% del totale. Un piccola percentuale, ma sono i turisti di gran lunga più disposti a spendere. Secondo i calcoli di Svizzera Turismo, se uno un cittadino elvetico spende in media 140 franchi al giorno, tale cifra per un ospite arabo sale a 420 franchi. I russi, che hanno fama di spendaccioni, si lasciano sfuggire dal portafogli “solo” 250 franchi. Le destinazioni svizzere più popolari per i viaggiatori provenienti dal Golfo sono Lucerna, Zurigo, oltre alle regioni del Lago di Ginevra e l’Oberland bernese, in primis Interlaken.
L’esempio ticinese - Il burqa negli spazi pubblici oggi è già vietato nel canton San Gallo e in Ticino. Mentre un’iniziativa simile è stata respinta a Glarona. Nel 2015, anno di entrata in vigore del divieto, nel nostro cantone le denunce per violazione della legge furono una dozzina. Il calo di pernottamenti dei turisti dagli Stati del Golfo è stato del 28% tra il 2015 e il 2019. Ma il calo, afferma Jutta Ullrich, portavoce di Ticino Turismo, «è dovuto, tra l’altro, all’attuale situazione politica ed economica». È difficile valutare quanto è stato l’impatto del burqa o niqab, poiché bassissima è la percentuale di quanti li indossano.
Danno all’immagine cosmopolita - Nel Comitato per il turismo che si oppone al divieto spicca Hotelleriesuisse, ma ci sono anche l’Associazione svizzera del turismo e le Funivie svizzere. Tutti uniti in difesa di una Svizzera aperta e tollerante verso altre culture. Per Nicole Brändle Schlegel di Hotelleriesuisse, se l’iniziativa passasse ne risentirebbe l’immagine di una Svizzera cosmopolita: «Vogliamo essere una destinazione di viaggio aperta. Fa parte della nostra identità». Il danno turistico, sostiene, non sarebbe immediato ma sul lungo termine.
Un’opportunità invece - Non tutti la pensano così. Ad esempio l’UDC Walter Wobmann, presidente del Comitato di Egerkingen che ha lanciato l’iniziativa: «All’allarmismo delle associazioni del turismo ribatto che può essere un’opportunità». Secondo Wobmann il viaggio in Svizzera per le donne dei Paesi musulmani potrebbe trasformarsi in un’occasione per togliersi il velo in vacanza. Inoltre, aggiunge, nei sei Paesi europei dove c’è il divieto il turismo non registra cali. Il politico UDC ricorda anche che già nel 2009, alla vigilia del voto sui minareti, «si diceva che gli ospiti arabi non sarebbero più venuti».
La replica di Hotelleriesuisse - All’obiezione di Wobmann, che ricorda come dal 2007 i pernottamenti di turisti del Golfo sono aumentati del 130%, ribatte così Nicole Brändle Schlegel: «Non sappiamo cosa sarebbe successo con un no all’iniziativa sui minareti». La crescita, aggiunge, avrebbe potuto essere maggiore. E ricorda l’esistenza in Svizzera di diversi hotel specializzati nel turismo arabo.
No alla discriminazione delle donne, ma... - La rappresentante di Hotelleriesuisse fa una precisazione: «Siamo contrari alla discriminazione delle donne». Ma, continua Nicole Brändle Schlegel, non crediamo che questa iniziativa sia il mezzo giusto per combatterla: «La riteniamo sproporzionata e inutile» afferma. È noto che le donne con il burqa in Svizzera siano pochissime e, soprattutto, siano delle turiste.
La crisi peggiore da 70 anni - Questo è il problema principale posto dall’iniziativa: «Non vogliamo che vengano posti ostacoli alla ripresa del turismo dopo la crisi del coronavirus». Per tutto il settore la crisi al momento resta acuta, la peggiore dalla Seconda Guerra Mondiale. Tutto è reso ancora più difficile, conclude Brändle Schlegel, «se, oltre a tutti i problemi della pandemia, dobbiamo fare i conti anche con un’iniziativa così sproporzionata e inefficace».