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La rabbia degli ucraini al Padiglione Conza

LUGANOLa rabbia degli ucraini al Padiglione Conza

04.03.22 - 22:12
Frustrati, arrabbiati, commossi. La testimonianza di chi vive in Ticino ma sente le bombe vicinissime
tio.ch/20minuti, Davide Giordano
La rabbia degli ucraini al Padiglione Conza
Frustrati, arrabbiati, commossi. La testimonianza di chi vive in Ticino ma sente le bombe vicinissime
Tanta gratitudine per la «generosità enorme dei ticinesi» ma anche preoccupazione. «Quello che succede in Ucraina oggi può capitare qui domani»

LUGANO - Sono arrabbiati. Nella voce e nello sguardo degli ucraini che vanno e vengono dal Padiglione Conza di Lugano - dove da giorni si stanno raccogliendo gli aiuti da inviare in Ucraina - c'è la frustrazione di chi vorrebbe fare di più, ma non può. Quando si fermano tra una corsa e l'altra, davanti alla telecamera di Tio.ch/20minuti, spesso la rabbia si scioglie in lacrime. 

Julia Dzhyma è originaria di Kiev. Nei giorni scorsi è stata raggiunta in Ticino - dove vive da 30 anni - dalla madre 82enne e da una nipote di 10 anni. Un viaggio durato quattro giorni. «Hanno camminato a piedi per 30 chilometri, poi in auto per strade secondarie, le grandi vie di comunicazione non erano sicure» racconta. «Per tutto il viaggio la bambina non ha mangiato né bevuto, tanto era spaventata». 

Dopo l'odissea della fuga, i problemi continuano anche al di qua del confine svizzero. Al momento i profughi ucraini sono accolti con un permesso di soggiorno turistico di 90 giorni, ma la loro condizione non ha niente della vacanza. «Mia madre avrebbe bisogno di essere vista da un medico, non si regge nemmeno in piedi, e non so dove portarla. Vorrei iscrivere mia nipote in una scuola» spiega Julia. «Sono qui senza protezione e senza nessun titolo, né turisti né rifugiati di guerra». 

Igor Vasiliev da giorni si dà da fare al Padiglione Conza per aiutare nella spedizione degli aiuti. «Sono qui otto ore al giorno, cerco di fare qualcosa per aiutare il nostro popolo». Non trattiene le lacrime, al pensiero di parenti e amici che vivono nella regione del Donbas. «Siamo tutti arrabbiati, litighiamo anche tra di noi. È un momento bruttissimo».

Larissa è venuta in Ticino da Kiev una vita fa, ma mentre parla ha davanti agli occhi i luoghi dell'infanzia. È scioccata al pensiero delle bombe «che in questo momento cadono dove io ho dato il primo bacio al mio ragazzo, della piazza dove sono cresciuta» racconta. «Tra le vittime ci sono figli di persone che conosco. Ho parenti e amici che mi chiamano disperati e io sono qui che li aspetto, e non posso fare niente perché è tutto bloccato». 

Anche Natalia Rudyk è arrabbiata e ha la voce rotta dall'emozione. «Sono toccata da quello che sta succedendo, ho parenti, nipoti, una sorella che dormono in uno scantinato da sette giorni» racconta. «Quando li sentivo al telefono i primi giorni erano scossi dalla paura, ora le emozioni sono finite e c'è quasi silenzio, la disperazione totale». Nell'impotenza disarmante, ritrovarsi al Padiglione Conza in mezzo alla solidarietà dei ticinesi - «enorme, inaspettata veramente» - dà un po' di forza e magari di speranza preziosa. «Dobbiamo unirci e fare qualcosa, reagire a questa minaccia» sprona Olga Legler, in Ticino dal 2002. «Siamo lontani ma aiutiamo come possiamo, con le parole e la testimonianza, perché gli europei capiscano che quello che succede là oggi può succedere anche qui domani». 

 

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