Demotivati, senza più interessi e senza capire cosa fare nella vita. Maria Teresa Paladino, psicologa, svela come uscire dal tunnel.
Si intitola "La mora magica" e fa riflettere su come riaccendere l'energia interiore e ritrovare la passione del fare. Uno dei mali diffusi della società è proprio quello di aver perso la voglia di fare. Di essere poco motivati. Come uscirne da questo loop? Ne abbiamo parlato con l'autrice del libro, la psicologa Maria Teresa Paladino.
Il libro si apre con una fiaba. Che ruolo ha questo racconto?
«Il cambiamento parte da un “insight”, o come precisa in modo esemplare la Treccani “avere una percezione chiara, un’intuizione netta e immediata di fatti esterni o interni”. La comprensione razionale dei fatti non è in genere la via maestra per avere un insight, infatti si parla di percezione, intuizione, e non di esercizio meramente cognitivo. L’uso della fiaba, da sempre, ha proprio il compito di stimolare l’intuizione, cercando di mettere da parte almeno per un po’ la parte razionale. Come affermo nell’introduzione del libro, l’invito al lettore e lettrice è proprio quello di lasciarsi trasportare dalle immagini e dalla storia raccontata, proprio per farla risuonare dentro di sé. Solo poi, proseguendo nelle parti un po’ più tecniche del libro, si possono mettere in fila molti elementi della nostra esperienza integrandoli alle intuizioni. Un po’ come se, man mano che procediamo nella lettura (e nei compiti assegnati), ogni tanto ci sorprendessimo a dirci “ah, ecco come interpretare e utilizzare quella intuizione, ecco cosa voleva dirmi!"».
Uno dei problemi molto frequenti tra gli individui è non riuscire a capire cosa si vuole fare nella vita, che studi scegliere nel caso degli adolescenti, o che tipo di lavoro fare nell’età adulta. Come superare questo impasse?
«La chiave è proprio cercando chi vogliamo essere, prima ancora di cosa vogliamo fare. Il Sé è centrale in questo processo, perché chi voglio essere diventa il cuore di ciò che conta. Certamente è una ricerca che ci impegna nell’arco della vita, visto che noi cambiamo e, sperabilmente, approfondiamo la nostra maturità. Ed è proprio attraverso le nostre esperienze quotidiane che possiamo scoprire e sviluppare sempre di più la nostra direzione. E questa è l’espressione dei nostri valori, dei nostri talenti, delle nostre forze. Partiamo da lì, cercando tutto ciò mentre viviamo le nostre esperienze quotidiane, che non devono essere necessariamente grandiose. Facciamo come Arianna nel bosco: immergiamoci consapevolmente in quello che stiamo facendo e andiamo alla scoperta di noi stessi. E non sottovalutiamo il potere dell’azione, come ricordo nella terza parte del libro: uno dei migliori modi di sbloccare l’impasse è agire, mettersi all’opera anche se in piccole cose. L’azione porta alla scoperta di molti elementi della nostra personalità, dei nostri desideri, delle nostre motivazioni e financo delle nostre avversioni».
Nel libro c’è una parte importante sull’assenza di motivazione, sulla mancanza di energia e di voglia di fare. Situazioni che si possono facilmente verificare nel nostro quotidiano. Che tipi di segnali sono questi e cosa possiamo fare per evitarli?
«Per prima cosa direi che questi segnali non sono affatto da evitare, ma sono da osservare in modo attento e non giudicante. Dobbiamo connetterci con i nostri sensi e stare aperti all’ascolto. Sono segnali, come le spie che si accendono in un cruscotto dell’auto, che indicano che qualcosa non sta andando nel verso giusto, cioè c’è un disallineamento tra la situazione attuale e quella che vorremmo. Ma il tema a cui dare una risposta è: perché provo ciò che sto provando? Qual è il bisogno a cui non sto dando risposta? Quando questa situazione si protrae per molto tempo provocando un’impasse che va ad impattare pesantemente sulla propria vita, senza venirne a capo, allora occorre porre rimedio, non ultimo rivolgendosi a chi ci può aiutare».
La mancanza di motivazione che effetti ha?
«Anzitutto è una condizione che dobbiamo accettare, nel senso non di rinuncia ma di presa d’atto della realtà per come è. Non dobbiamo combatterla, ma prendere atto che c’è. Se non porta a chiederci il perché, a scoprire bisogni e motivi, a tentare di trovare una soluzione (fosse anche dover riposarci, se necessario e possibile), se lasciamo che ci trascini indefinitamente senza comprendere cosa non va e prendere provvedimenti, l’effetto visibile è quello di dover demandare indefinitamente alla sola forza di volontà il compito di spingerci a fare ciò che dobbiamo fare. Non dico che sia un male, spesso è l’unica via che abbiamo perché non possiamo evitare alcuni compiti. Ma alla lunga questo richiede un enorme dispendio di energia».
Ha parlato di autorealizzazione. Ognuno nella vita cerca di autorealizzarsi. Un percorso non certo facile, dove si può anche fallire. Lei che consiglio dà a chi non ce la fa?
«Senza l’autenticità non si può raggiungere l’autorealizzazione, perché non saremmo in contatto con la parte più vera di noi stessi. Per essere autentici dobbiamo rinunciare alle maschere riscoprendo e accettando le parti nascoste ma più vere. Nel libro cito uno studioso che afferma come la struttura di base dell’autorealizzazione possa essere vista come un processo con cui realizziamo il nostro potenziale utilizzando un nostro stile personale, immersi nelle relazioni della nostra comunità e cogliendo le opportunità di dare un senso nella nostra vita. Come si può intuire, l’autorealizzazione non ha niente a che vedere col “fare soldi”, avere cose di lusso, o peggio avere tanti followers sui social. È trovare il senso della propria vita, che come diceva Shakespeare, è “trovare il tuo dono e donarlo agli altri”.
Quanto al “fallimento”, cui è dedicata proprio l’ultima parte del mio libro, tra gli altri ricordo il contributo di Joyce, che afferma come il fallimento possa portare a una scoperta. Quando impariamo qualcosa, lo facciamo per tentativi successivi. Quando per esempio la nostra auto ci segnala con un beep che stiamo tagliando la linea della corsia in autostrada, sta cercando di ricordarci che stiamo deviando dalla nostra direzione. O che siamo proprio in una direzione sbagliata. È un fallimento o un invito a correggere il tiro?»
Nel suo lavoro aiuta le persone a realizzare il meglio di sé. Dall’alto della sua esperienza quali sono oggi le difficoltà che le persone incontrano nel realizzare il meglio di sè e perché?
«Le difficoltà derivano da tantissimi elementi di pressione, e ci vorrebbe un saggio solo per elencarli tutti. La nostra società odierna è molto orientata all’immagine esteriore e alla spinta a conformarsi ai dictat che ne derivano. Se parliamo del mondo aziendale, in particolare, ciò che si evidenzia molto spesso è una schizofrenia tra i valori dichiarati e quelli vissuti realmente, tra la cultura sbandierata e quella realmente realizzata. Più di vent’anni fa avevo organizzato un evento nel mio studio di allora a Massagno, che si intitolava “L’Individuo al Centro”. Tutt’oggi si afferma la centralità dell’individuo, ma in realtà vige la centralità del profitto. Perché mai infatti un ricercatore che salva con le sue scoperte molte vite umane viene pagato una bazzecola mentre chi lavora nell’ambito finanziario o è un calciatore è strapagato? E poi c’è una grandissima competizione, il fatto che la sicurezza del posto di lavoro è diventata una chimera. La difficoltà che le stesse aziende hanno per sopravvivere in un mondo globalizzato. Ma le difficoltà, diverse naturalmente, ci sono state sempre. Una risorsa fondamentale che manca oggi però è la reale connessione tra le persone, nella e tra le comunità. La vera attenzione all’altro è stata soppiantata da un individualismo sfrenato spinto dalla voglia di apparire e di sopraffare».