«Riaprono le scuole, con studenti che alternativamente frequenteranno le classi e lavoreranno da casa»
Il Granducato spenderà 40 milioni per controllare cittadini e lavoratori stranieri. Claude Meisch: «Una briciola rispetto alle perdite per un secondo lockdown».
LUSSEMBURGO - Un test sierologico per tutti i cittadini e per tutti i frontalieri, così da controllare e – magari – isolare il coronavirus e tornare a una vita quasi normale. Il Lussemburgo si è posto un obiettivo ambizioso, ha fissato un traguardo importate, che se tagliato potrebbe fare da caso scuola e rivoluzionare l'approccio alla crisi a livello globale.
«Di questo virus sappiamo molto poco, per certi versi non sappiamo nulla – ci ha raccontato Claude Meisch, Ministro dell'Istruzione e di Infanzia e Gioventù in Lussemburgo – Come si trasmette davvero? Quanto si rimane contagiosi? Come e quanto muta? Ci servono maggiori informazioni per tentare di trovare soluzioni efficaci, che ci permettano di convivere con esso nei prossimi mesi».
Da qui l'idea di far fare un test sierologico a ognuno dei circa 600'000 lussemburghesi.
«Non c'è l'obbligo, ma sarà data la possibilità a ogni cittadino di fare questa analisi. Stiamo attrezzandoci per fare 20'000 test al giorno, così da completare tutto il processo entro un mese. I dati raccolti ci permetteranno di capire chi è entrato in contatto con il virus, chi è ancora malato, chi è a rischio...».
E prendere così i necessari provvedimenti per tornare alla quotidianità pre-virus.
«Questo no. La normalità tornerà solo quando sarà disponibile il vaccino. Conoscendo esattamente la situazione di ogni cittadino potremo però evitare di fermare interi settori della nostra comunità. L'obiettivo del test a tappeto è quello di arrivare a isolare i soggetti malati o quelli a rischio, permettendo agli altri di riprendere le proprie attività. Meglio questo che procedere a un blocco totale».
Le scuole riaprono.
«Non tutte. Prima le università. Poi toccherà alle secondarie. Mentre solo il 25 riapriranno quelle fondamentali. Le lezioni non saranno in ogni caso normali. Abbiamo pensato a programmi misti, con studenti che alternativamente frequenteranno le classi e lavoreranno da casa. Questo sarà possibile studiando i primi risultati del test. Al posto di tenere fermi tutti i ragazzi, bloccheremo solo quelli malati o contagiosi».
L'iniziativa toccherà pure i lavoratori frontalieri, che quotidianamente entrano in Lussemburgo da Francia, Germania e Belgio.
«Recuperare informazioni su chi frequenta il nostro territorio è fondamentale. Anche in questo caso, però, i test non saranno obbligatori. Ai lavoratori sarà inviata una comunicazione riportante il giorno e le modalità del test. Poi toccherà a loro presentarsi. Non credo a ogni modo che saranno molti quelli che rifiuteranno di sottoporsi all'esame. Ci sono anzi già arrivate richieste da parte di queste persone, che apprezzano la nostra offerta e sono anzi impazienti di poter sapere qualcosa di più sul loro stato di salute. È un'opportunità per tutti».
Con il coronavirus la pressione sulle frontiere è aumentata.
«La libertà a cui eravamo abituati non esiste più. In Lussemburgo, come in molti altri Paesi europei d'altronde, il transito dalle frontiere è possibile solo per chi ha comprovate esigenze lavorative. La speranza è ora di poter procedere a nuove aperture, ma solo quando la situazione sarà migliorata, quando lo stato di salute di chi entra nel Granducato sarà garantito».
La situazione in Canton Ticino è simile. Dall'Italia entra al momento solo chi deve recarsi al lavoro. I frontalieri sono 70'000.
«In Lussemburgo sono 200'000 e senza di loro la nostra economia si fermerebbe».
Sicurezza sanitaria e spinta all'economia: per questo avete deciso di investire 40 milioni di euro per i test a tappeto?
«Quello è il budget previsto per l'operazione. Potremmo spendere di meno; sicuramente non spenderemo di più. Deve in ogni caso essere chiaro che 40 milioni sono una briciola rispetto alle perdite che avremmo se fossimo costretti a un secondo lockdown. Fermare tutto sarebbe estremamente più costoso».
Se vincente, la vostra iniziativa è replicabile su larga scala?
«Essere uno Stato piccolo è sicuramente un vantaggio. Se dimostreremo di essere in grado di tenere sotto controllo il virus e, così facendo, di riportare un po' di libertà ai nostri cittadini, gli altri Paesi potrebbero tuttavia anche finire con il copiarci. Avrebbero altri costi, certo, ma anche la sicurezza della riuscita del programma. E un'iniziativa congiunta renderebbe molto più efficace la lotta alla pandemia».