Il regime autoritario di Riad utilizza sentenze esemplari per scoraggiare l'opposizione, un altro caso che fa discutere.
RIAD - «Sentenze esemplari totalmente sproporzionate rispetto al crimine», con queste parole Ramzi Kaiss dell’Organizzazione non governativa per la difesa dei diritti umani in Medio Oriente, MENA Rights Group, aveva definito la nuova politica repressiva del governo di Riad. Durante l'estate infatti due condanne a due donne, Salma al-Shehab e Nourah bint Saeed al Qahtani, rispettivamente di 34 e di 45 anni, avevano scioccato l’Occidente e riportato alla ribalta la fragile questione dei diritti umani nel regno.
Una repressione spietata - La repressione dei dissidenti su Twitter non è però finita. Un nuovo caso ha riportato l’attenzione mediatica mondiale sul problema. Un cittadino americano di origini saudite, Saad Ibrahim Almadi, è stato condannato a 16 anni di carcere per aver espresso il suo disaccordo con la casa reale saudita attraverso la piattaforma social.
A dare la notizia della condanna è stato Ibrahim, il figlio dell’uomo 72enne. Il ragazzo ha lanciato un appello: «Non voglio vedere mio padre morire in prigione». Secondo la sua testimonianza, il padre è stato trattenuto illegalmente in condizioni disumane.
Terrorismo e destabilizzazione del regno - Il copione è lo stesso già visto altre volte. Il tribunale saudita che ha emesso la sentenza ha ritenuto l’uomo colpevole di aver tentato di destabilizzare il regno e di sostenere e finanziare il terrorismo. Ibrahim afferma che l'unica prova finalmente presentata alla corte consisteva in 14 tweet scritti dal padre.
I contenuti dei tweet non sono stati resi pubblici. Secondo la Bbc, che ha avuto modo di consultare il materiale, i messaggi includevano critiche alla demolizione di vecchie parti delle città della Mecca e di Gedda, preoccupazione per la povertà nel Paese e un riferimento al giornalista saudita assassinato Jamal Khashoggi.
Una sentenza sproporzionata - I pubblici ministeri volevano condannare l’uomo a un massimo di 42 anni di carcere, ha detto. Due settimane fa, è stato condannato a 16 anni di carcere e un successivo divieto di viaggio di 16 anni, ha aggiunto.
Sebbene Ibrahim non sia stato in grado di parlare con suo padre da quando è stato arrestato, i membri della famiglia in Arabia Saudita hanno affermato di aver avuto accesso a Saad e che lui ha detto loro che stava bene.
Inattività della Casa Bianca - A preoccupare Ibrahim è l’inattività del governo americano. Il ragazzo ha ammesso che sono stati condotti solo due incontri tra suo padre e dei funzionari statunitensi durante la sua detenzione. Il primo è avvenuto addirittura sei mesi interi dopo il suo arresto. Un atteggiamento ambiguo della Casa Bianca che ha scatenato l’ira della famiglia di Saad. Ibrahim spera ora che il suo appello possa smuovere una situazione molto delicata sia per Washington che per Riad.