Una troupe giornalistica entra in un campo detentivo ucraino per prigionieri russi. Ma è l'Onu ad aver lanciato l'allarme già a fine 2022
LONDRA - Ovest Ucraina, giornalisti inglesi entrano in uno dei cinquanta centri detentivi per prigionieri di guerra: sono centinaia i soldati e mercenari russi detenuti in tutto il Paese. Kiev e Mosca negoziano di continuo su rilasci e scambi e a questo riguardo i vertici di Zelensky dichiarano di aver ottenuto la liberazione, solo questo mese, di oltre 1700 uomini. Ma le prime testimonianze sulle condizioni dei prigionieri di guerra, sono antecedenti all'inchiesta giornalistica inglese e furono raccolte dall'Onu.
Il report Onu della vergogna - L'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, lo scorso novembre, aveva infatti pubblicato un report dettagliato, dopo aver intervistato centinaia di prigionieri di entrambe le parti. In quell'occasione Kiev aveva concesso agli operatori di visionare i centri detentivi, Mosca no. Per questo motivo 159 prigionieri ucraini sono stati intervistati solo dopo il rilascio. Nel documento si legge dunque di testimonianze di pestaggi, di trasporti su camion sovraffollati. Di uomini privati di acqua e servizi igienici per più di un giorno, bendati e con mani legate.
L'ingresso nei campi - Dal report emerge anche che le procedure di "ammissione" ai campi prevedono denudamento, percosse, attacchi di cani, minacce. E non tutti superano la "procedura", tanto che l'Onu indaga su almeno nove morti sospette. Durante la prigionia poi le cose non vanno meglio: manganellate, scosse con taser, umiliazioni reiterate. Le donne ucraine intervistate non segnalano invece violenze fisiche ma si dicono provate dalle urla dei loro connazionali torturati. Raccontano di minacce e umiliazioni, come correre nude davanti alle guardie di sesso maschile.
Quanto ai russi detenuti, l'Onu riporta come «credibili» le accuse di esecuzioni sommarie, torture e maltrattamenti come pugni e calci in faccia. In diversi casi, i russi ascoltati (175) raccontano di accoltellamenti, shock elettrici con il telefono militare "TAPik". E anche per loro i trasporti da un campo all'altro avvengono in condizioni disumane: nudi, legati, bendati.
Il reportage da un centro detentivo ucraino - È invece di questi giorni - come anticipato - l'incontro dei giornalisti britannici con i detenuti, che avviene in uno scantinato, mentre in lontananza si sentono le sirene della contraerea.
Le guardie supervisionano la visita. L'incontro con i russi è possibile solo previo consenso, la convenzione di Ginevra non permette infatti l'esibizione in pubblico dei prigionieri di guerra. I giornalisti della Bbc raccolgono le prime confidenze. C'è chi, mercenario, è stato catturato nei pressi di Spoledar e chi a Luhansk, a fine dicembre. «Spero di non dover tornare nell'esercito», confida un prigioniero alla reporter della Bbc. Tra dozzine di uomini, sono in molti a mostrare segni di ferimenti, coperti da bendaggi a mani e piedi. Alcuni zoppicano. C'è chi ha perso una gamba a causa di un'esplosione e lo racconta commosso.
Si lavora a testa bassa - Il lavoro in regime di detenzione è pressoché obbligatorio. Si sente un trapano: c'è una piccola linea di produzione dove si assemblano mobili, si lavora a testa bassa. Ai giornalisti viene detto che è prevista una paga, soldi utilizzati per comprare sigarette e dolci.
Si mangia e si vede la Tv - È l'ora del pranzo. La mensa si trova all'ultimo piano: nelle scodelle di latta c'è della zuppa, dell'orzo con un pezzo di carne, una fetta di pane. Si mangia in silenzio, i prigionieri intonano un «grazie per il pranzo». La sensazione che pervade l'intero incontro è che le guardie facciano di tutto per mostrare un buon trattamento. Ma il silenzio e le teste chine dei russi lasciano intendere di essere stati in qualche modo "educati".
«Sono prigioniero ma sono» - La Tv è accesa solo in lingua ucraina ed è obbligatorio seguire documentari sulla storia di Kiev e sulla martoriata Mariupol. Le guardie raccontano che è possibile chiamare una volta ogni due settimane. La cornetta del telefono è in mano a un ragazzo, dall'altra parte c'è la madre in lacrime: «Dove sei? Ho chiesto di te a mezza città?». «Sono prigioniero ma sono vivo e sto bene».