La non insistenza dell'atto non ha consentito di configurare appieno il reato, è la motivazione dei giudici del Tribunale di Roma
ROMA - La «repentinità dell'azione, senza alcuna insistenza nel toccamento», da considerarsi «quasi uno sfioramento» non consente di «configurare l'intento libidinoso o di concupiscenza generalmente richiesto dalla norma penale». Lo scrivono i giudici del tribunale di Roma nelle motivazioni della sentenza con cui hanno assolto con la formula «perché il fatto non costituisce reato», un bidello di 67 anni di un istituto scolastico della Capitale finito sotto processo per l'accusa di violenza sessuale per avere toccato una studentessa, mentre quest'ultima saliva le scale della scuola, nell'aprile del 2022.
Per il collegio della quinta sezione il toccamento, durato «tra i 5 e i 10 secondi» così come ha denunciato la vittima, è avvenuto ma senza l'elemento soggettivo: la volontà da parte del bidello di molestare la minorenne. I giudici non hanno, quindi, accolto l'impostazione della Procura che aveva chiesto per l'imputato una condanna a 3 anni e mezzo di reclusione. Nel corso del processo l'imputato ha ammesso di avere toccato la studentessa ma di averlo fatto «per scherzo». La vittima ha, invece, ribadito quanto avvenuto.
Per i giudici «nel caso di specie» le modalità «dell'azione lasciano ampi margini di dubbio sulla volontarietà nella violazione della libertà sessuale della ragazza, considerato proprio la natura di sfioramento, per un tempo sicuramente minimo, posto che l'intera azione si concentra in una manciata di secondi, senza alcun indugio nel toccamento». Inoltre, aggiungono i magistrati nelle motivazioni, «appare verosimile che lo sfioramento sia stato causato da una manovra maldestra dell'imputato che, in ragione della dinamica dell'azione, posta in essere mentre i soggetti erano in movimento "potrebbe avere accidentalmente e fortuitamente attivato un movimento ulteriore e non confacente all'intento iniziale». Su quest'ultimo aspetto, a detta del tribunale, «depone anche la condotta successiva dell'imputato, che solo alla manifestazione di disagio della ragazza, si è reso conto della natura inopportuna del suo gesto, andato oltre le proprie intenzioni, tanto da cercare di chiarire la situazione ed evitare ogni fraintendimento».
Sulle motivazioni della sentenza si dichiarano «indignati» gli studenti della Rete degli Studenti Medi del Lazio. «Si nuovo una molestia non viene riconosciuta in quanto tale per una motivazione assurda, stavolta addirittura in virtù della sua durata«, afferma la coordinatrice Tullia Nargiso. "Vogliamo sentirci sicure in ogni luogo, e in particolare a scuola che dovrebbe insegnare a riconoscere e abbattere le violenze di genere e le discriminazioni, invece ancora una volta questo non succede, e anzi gli edifici scolastici diventano teatro di molestie neppure riconosciute e punite", conclude il sindacato degli studenti.