Cosa sta accadendo sotto i Campi Flegrei? Dopo il terremoto c'è il rischio di un'eruzione? Facciamo il punto
NAPOLI - Il risveglio, improvviso e in piena notte, a Napoli e dintorni è stato brusco. E per quelli meno giovani ha rievocato un incubo di oltre una quarantina d'anni fa. Lo stato di allerta, per il vero, era vivo già da diversi giorni. Perché da tanto, nell'area dei Campi Flegrei, si stava registrando una crescente attività sismica, figlia delle vivaci dinamiche vulcaniche della regione. A buttare giù tutti dai propri letti, alle 3.35 del mattino, ci ha pensato quindi una scossa di magnitudo 4.2, registrata a 2.7 chilometri di profondità. La «più forte degli ultimi quarant'anni»; così l'ha definita l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV).
La scossa, si legge nelle cronache della stampa locale, è durata per diversi secondi. La gente si è riversata nelle strade. E la paura c'è stata. Ma, fortunatamente, solo quella. Il Dipartimento della Protezione Civile ha confermato che non ci sono stati danni a cose e persone. Una certa ansia di fondo però rimane. Ma cosa sta accadendo esattamente sotto la superficie dei Campi Flegrei? E che tipo di evoluzione è attesa nei prossimi giorni? «L'INGV sta monitorando minuto per minuto l’evoluzione ma non siamo in grado di prevedere quel che può accadere, certamente ci stiamo avvicinando a una situazione di crisi come quella, appunto, di 40 anni fa. Dobbiamo quindi prestare la massima attenzione», ha spiegato il geologo italiano Carlo Doglioni, presidente dell'ente, interpellato dall'agenzia Adnkronos.
I Campi Flegrei, un antico supervulcano
Detto ciò, il geologo sottolinea che «non abbiamo elementi che ci possano portare a dire che ci sarà una eruzione, però ci sarà un aumento della sismicità». Vale quindi la pena di aprire una breve parentesi. I Campi Flegrei - la cui ultima eruzione risale al 1538 - sono quello che viene definito un antico supervulcano. Nel dettaglio, è «un campo vulcanico attivo da più di 80'000 anni la cui storia eruttiva è stata caratterizzata da almeno due eventi di grande magnitudo che hanno generato una caldera ampia circa 200 chilometri quadrati», si legge sul sito dell'Osservatorio Vesuviano. Negli anni che hanno preceduto l'ultima eruzione «la caldera ha subito un sensibile sollevamento del suolo nella sua parte centrale. Dopo l'eruzione la stessa area è stata soggetta a una costante subsidenza fino alla metà del XX secolo. A partire dalla seconda metà del XX secolo è iniziato un periodo di sollevamento che ha condotto a due crisi bradisismiche negli anni 1969-72 e 1982-84, quest'ultima caratterizzata da intensa sismicità». E «attualmente il suolo è in costante e graduale sollevamento dal 2005».
Tornando al presente, e all'origine degli sciami sismici delle ultime settimane, un'analisi dell'INGV - che reca le firme di Mauro Di Vito, di Francesca Bianco e dallo stesso Carlo Doglioni - pubblicata il 10 settembre scorso precisava che «la causa del sollevamento del suolo e quindi della sismicità può essere dovuta a una forte risalita di gas e una maggiore pressurizzazione del sistema idrotermale profondo» o al fatto che «si stiano iniettando nel sottosuolo delle lingue di magma alimentate dal sistema magmatico profondo». In questo senso, concludevano gli esperti, «proprio perché non vi sono evidenze di risalite di magma verso la superficie», «attualmente la probabilità di una eruzione vulcanica è relativamente bassa».
Tuttavia, la preoccupazione rimane. Anche tra gli esperti. Solo pochi giorni dopo la pubblicazione dell'analisi, il vulcanologo italiano Giuseppe Mastrolorenzo ha orientato i riflettori sul previsto piano di evacuazione nell'eventualità di un'eruzione ai Campi Flegrei, mettendone in luce alcune criticità. E senza, addentrarci nei dettagli tecnici, uno dei principali nodi riguarda le tempistiche con cui è possibile prevedere un evento eruttivo e reagire. «Viviamo su un sistema assai complesso, in cui la variazione anche di un solo parametro nel sottosuolo può innescare l’eruzione, magari un parametro che non riusciamo a misurare», ha dichiarato, lo scorso 18 settembre, ai microfoni di Radio Radicale, suggerendo, come misura precauzionale, l'evacuazione delle abitazioni dell'area di Agnano-Solfatara.
Una vecchia paura
A complicare il tutto troviamo infine un vecchio timore, già menzionato qualche decina di righe fa, risalente all'alba degli anni '80, quando la Campania fu teatro del disastroso terremoto dell'Irpinia e del Vulture. Il sisma, di magnitudo 6.9, colpì la regione italiana - su un'area di circa 17mila chilometri quadrati - nella sera del 23 novembre 1980. E il bilancio fu terribile: 2'914 morti, oltre 8'800 feriti e circa 280'000 sfollati.