In Italia vola il centrosinistra che si è portato a casa tutti i capoluoghi di regione (a parte Trieste).
I ballottaggi svoltisi ieri e oggi hanno però confermato la forte disaffezione degli italiani alla politica. Solo il 43.94% degli aventi diritto si è infatti recato alle urne per scegliere il proprio sindaco.
ROMA - Roberto Gualtieri, professore universitario di storia contemporanea, parlamentare democratico ed ex ministro all'Economia del governo Conte bis, è il nuovo sindaco di Roma.
Sposato, cinquantacinque anni, è nato nel quartiere Appio Latino, ma ora vive con la famiglia a Monteverde. La sua vita, privata e professionale, è profondamente intrecciata con la Capitale. Studia al Visconti, si laurea in Storia alla Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza, dove poi diventa professore associato. Nel 2009 viene eletto al Parlamento Europeo, dieci anni dopo giura davanti al Presidente della Repubblica come titolare del Ministero dell'economia e delle finanze (Mef). Agli inizi del 2020, caduto il secondo governo presieduto da Giuseppe Conte, diventa deputato nella circoscrizione Roma centro. Un incarico che ora dovrà lasciare per occuparsi a tempo pieno del Campidoglio.
Amante dello studio e della ricerca - lui stesso non esita a definirsi un "secchione" - Gualtieri viene da una lunga militanza politica iniziata sin da giovane: dalla Lega degli studenti universitari della Fgci, al Pci, dai Ds fino al Partito Democratico, di cui ha contribuito a scrivere il manifesto fondativo. Tra i maggiori esperti dello studio delle dinamiche dei partiti della Prima Repubblica e del movimento comunista internazionale, scrive alcuni libri per la Fondazione Istituto Gramsci (di cui è stato anche vicedirettore).
Dopo essere stato eletto a Bruxelles nel 2009, vi trascorre due legislature: partecipa al team negoziale sulla Brexit e diventa presidente della Commissione per i problemi economici e monetari. Un'esperienza che lo lancerà nel 2019 per il ruolo di titolare del Mef nel governo giallorosso. Qui, lavora gomito a gomito con Giuseppe Conte in uno dei momenti più bui della storia contemporanea, l'Italia della pandemia e dei lockdown. Partecipa attivamente alla trattativa europea per il Pnrr fino all'ultimo giorno utile. Poi, quando cade l'esecutivo, conserva il seggio di parlamentare "vinto" con oltre il 60% delle preferenze, nel marzo del 2020 alle suppletive di Roma centro.
Con il senno del poi, si tratta delle prove generali per la vittoria del Campidoglio. Anche se il via libera finale alla sua candidatura arriva dopo l'ipotesi della corsa di Nicola Zingaretti (ex segretario del Pd e governatore del Lazio), sfumata per la mancata convergenza con i 5 stelle. A quel punto, l'ex ministro si mette a disposizione "con umiltà" e "spirito di servizio", vince prima le primarie del centrosinistra, poi il primo turno di elezioni e, infine, il ballottaggio.
Considerato in gioventù vicino a Massimo D'Alema, Gualtieri nel Partito Democratico viene ritenuto un affidabile uomo delle istituzioni, visti i delicati incarichi già ricoperti e l'attitudine al lavoro di squadra. Non a caso, nella sua campagna elettorale, ha sempre rimarcato l'importanza dell'unità e della collettività a servizio della causa: "la rinascita di Roma".
Chi lo conosce personalmente, lo definisce un uomo dal carattere introverso ma determinato. Tifoso della AS Roma, coltiva da sempre la passione per la musica: suona, ama il jazz e la bossanova e tra le prime cose che porterà nel suo ufficio in Campidoglio c'è proprio la chitarra classica. Che aveva anche nel suo ufficio al Mef.
Vittoria anche a Torino - Il centrosinistra vola anche a Torino dove si è imposto l'ex Cinque Stelle Stefano Lo Russo. Dopo i trionfi al primo turno di Napoli, Bologna e Milano, l’en-plein del centrosinistra nei capoluoghi di regione è sfumato solo a causa del risultato di Trieste, dove si è imposta (di poco) la coalizione di centrodestra con l'uscente Roberto Di Piazza.
Vince (anche) l'assenteismo - L'astensionismo più alto di sempre ha caratterizzato questa tornata elettorale autunnale in Italia e i ballottaggi che si sono svolti ieri e oggi hanno confermato la forte disaffezione alle urne che generalmente non sfiora l'elezione dei sindaci. Stavolta, invece, alla chiusura dei seggi, ha votato solo il 43,94% nei 63 Comuni chiamati a scegliere il primo cittadino: al primo turno era andato a votare il 52,67%. Dunque ha votato molto meno della metà degli elettori, con un calo di circa 9 punti percentuali rispetto all'affluenza, pur già esigua, di due settimane fa. Il risultato della capitale (solo il 40,68% dei votanti) abbassa la media del Lazio, regione in cui però si trova anche il Comune con la partecipazione più alta: a Corchiano, in provincia di Viterbo, hanno votato l'87,14% degli aventi diritto, più del primo turno (80,22%) concluso con un singolare pareggio di 1.141 voti a testa fra i due candidati. Certamente la sostenuta flessione dell'affluenza è la causa del calo forte di voti diretti all'elezione del sindaco: in pratica, rispetto al 1993, quando ci fu la prima elezione diretta dei primi cittadini con la novità dei ballottaggi, i consensi al secondo turno sono quasi dimezzati. A Roma ad esempio, Gualtieri ha ottenuto oltre 550 mila voti ma la Raggi 5 anni fa ne aveva avuti 770 mila, 871 mila Veltroni nel 2001 per non parlare degli oltre 955 mila di Rutelli nel '93. Anche a Torino, Lo Russo vince con 168.997 voti, ma la Appendino ne aveva presi 292.764 e Chiamparino, nei due mandati, ne aveva avuti circa 300 mila.