Donne, rifugiate e prostitute. Per loro la vita in Svizzera è nel segno della discriminazione. A parlarne, un reportage.
La storia: «Per la strada mi hanno insultato, sputato addosso e picchiata ma il dolore più grande me lo hanno dato le mie colleghe».
LOSANNA - Le professioniste (i professionisti) del sesso di colore, o comunque con un passato migratorio, in Svizzera subiscono forti discriminazioni tanto da parte di chi dà loro lavoro (spesso sfruttandole) e dalle colleghe, quanto dai clienti. È quello che emerge da un recente reportage sotto forma di magazine, stilato dall'associazione ombrello per i diritti delle/dei sex worker elvetic* Prostitution Collective Reflexion (ProCore).
«Queste donne sono le ultime fra le ultime», conferma Naomi Chinasa Bögli del Centro d'assistenza e intervento per i migranti e per le vittime della tratta delle donne di Zurigo (Fiz) confermando che, nei loro casi, il razzismo e la discriminazione sono intrinsecamente legate al loro corpo e «finiscono per modificare la loro percezione di sé, la loro personalità e - infine - la loro stessa umanità».
Si tratta di un razzismo estremamente particolare e sfaccettato che parte dal colore della pelle, passando per lo status migratorio, il genere arrivando fino alla loro professione, sulla quale c'è ancora un forte stigma sociale. A peggiorare ulteriormente la loro situazione c'è poi la burocrazia che rende molto difficile ai migranti regolarizzare la propria posizione.
«Per la legge Svizzera la migrazione non è vista come il diritto di una persona di spostarsi da un punto A a un punto B», aggiunge Chinasa Bögli che parla di razzismo strutturale, «perché chi viene qui deve essere ”in grado di integrarsi”, si parla addirittura di “veri rifugiati”. È un modo d'intendere la migrazione che apre la porta ad altri comportamenti xenofobi:».
Il tutto diventa ancora più delicato, se si parla di sex worker con un passato migratorio: «La polizia è estremamente più severa nei suoi interventi, in generale le persone di colore sono percepite come più minacciose e pericolose, e questo riguarda anche il settore della prostituzione. Facciamo un esempio? Durante la pandemia la città di Zurigo ha multato 400 ragazze che hanno continuato a lavorare malgrado il divieto - e lo facevano perché non potevano farne a meno - e circa 600 a persone perché non indossavano la mascherina sui mezzi di tutta l'area urbana. Non notate una certa disproporzione nei controlli?».
«Basta guardare i siti di annunci erotici, già quando ti registri ti chiedo di che “categoria sei”: latina, asiatica, caucasica, africana? Sembra di avere a che fare con un menu... La prostituzione è intrinsecamente razzista», racconta a ProCore la sex worker migrante Yasmine (nome fittizio), «alcune ragazze ci giocano sopra, non le giudico, è la loro strategia per sopravvivere. Ma se ci si pone così, poi anche il comportamento dei clienti cambia di conseguenza. Una volta uno di loro mi ha detto: “Vado solo con prostitute di colore”, e mi sono chiesta: ma che c'è dietro? È semplicemente una questione di gusti, una fantasia erotica oppure è qualcosa che ha a che fare con il razzismo? Di base però la gente non si fa troppe domande sulla natura dei loro desideri, e francamente forse nemmeno io vorrei sapere proprio tutto».
Per quanto riguarda le discriminazioni plateali, Yasmine ne ha tante da raccontare ma le più dolorose - per lei - sono anche le più inattese: «Per la strada me ne hanno fatte di tutte, mi hanno insultata, mi hanno sputato addosso e mi hanno colpita. Ma non è niente rispetto a quanto mi hanno fatto male le mie colleghe una volta che ho deciso di diventare un'attivista per i diritti delle prostitute. Mi hanno letteralmente tagliata fuori, perché sono di colore, e le associazioni sono perlopiù gestite da persone bianche dell'est Europa. A loro non interessa il nostro punto di vista».