Cerca e trova immobili

INTERVISTA«Mi piace costruire bellezza». Dopo Venezia, Daniele Finzi Pasca pronto a conquistare Lugano

21.10.24 - 06:30
Lo spettacolo "Titizé - A Venetian Dream" arriva al Lac. Incontro col regista: «Faccio ridere e commuovere. Amo lo stupore e la meraviglia»
copyright_Compagnia Finzi Pasca - Viviana Cangialosi
«Mi piace costruire bellezza». Dopo Venezia, Daniele Finzi Pasca pronto a conquistare Lugano
Lo spettacolo "Titizé - A Venetian Dream" arriva al Lac. Incontro col regista: «Faccio ridere e commuovere. Amo lo stupore e la meraviglia»

Daniele Finzi Pasca non sbaglia un colpo, e la sua ultima carta vincente è un sogno tutto veneziano. Un giorno arriva la chiamata dal Teatro Goldoni di Venezia (stiamo parlando del più antico tra i teatri moderni tutt’ora in attività, con oltre 400 anni di storia) che vorrebbe uno spettacolo in grado di rilanciare il teatro a livello internazionale. L’estro creativo di Finzi Pasca partorisce “Titizé - A Venetian Dream”. Risultato? 10.000 spettatori, 52 recite e platea piena anche nelle più calde serate estive. Uno spettacolo che ha messo d’accordo pubblico e critica e che è stato confermato a Venezia per l’estate del 2025 con almeno quaranta repliche tra luglio e settembre. “Titizé” arriva ora a Lugano. Sarà al Lac da domani, martedì, fino al 27 ottobre, con due repliche di sabato e di domenica. Nello spettacolo c'è tutto il mondo di Daniele Finzi Pasca. È come entrare in un sogno dove le immagini entrano in una dimensione surreale in cui troviamo acrobati, attori, musicisti, giocolieri, personaggi circensi. «Il titolo è un'intuizione di mio fratello Marco - ci spiega Daniele Finzi Pasca - cercavamo una parola facile da ricordare, carica di senso e che si potesse pronunciare facilmente nei paesi che avremmo visitato con lo spettacolo».

TiTizé, vuol dire “tu sei”. Chi è invece Finzi Pasca?
«Lo racconto nei miei spettacoli, sono un esperto dell’inciampo, delle macchie, delle geometrie in strano equilibrio, amo la montagna in un modo profondo e viscerale, mi perdo nei deserti di sabbia e di mare. Credo di essere un viaggiatore, un cercatore di storie che colleziono e le più belle le racconto agli amici, al pubblico e a chi ama lo stupore e la meraviglia delle cose semplici».

È uno spettacolo in cui c’è poca parola, ma molta immagine. Come si concilia questo aspetto in una società, quella odierna, dominata dalle parole, forse anche troppe parole?  
«Il nostro linguaggio, intendo quello della Compagnia attraversa i generi teatrali che frequentiamo con stupore e spregiudicatezza. Passiamo dall’opera lirica, al teatro di prosa, dai grandi eventi e spettacoli acrobatici. Titizé segna il ritorno al linguaggio proprio della clowneria e del mondo acrobatico che concilia con metafore, allusioni che le parole non riescono ad evocare. Abbiamo scelto per raccontare Venezia di soffermarci sui suoi abitanti, sulle loro storie, piccoli aneddoti, frammenti curiosi che poi abbiamo ricomposto come un mosaico allucinato. Dovevamo creare uno spettacolo che piacesse sia ai veneziani che ai turisti. Durante l’estate in platea si parlavano lingue tanto esotiche, arrivato settembre sono i veneziani che hanno riempito il Goldoni e ci hanno festeggiato».

L’intenzione dello spettacolo è quella di meravigliare, di suscitare stupore. Quanto è importante per lei la meraviglia?
«È una delle parole chiavi per comprendere la mia piccola ricerca. Stupire, meravigliare, abbracciare, trasportare in un mondo dove il linguaggio usato è quello carico di elementi incoerenti che dialogano tra loro come nel mondo dei sogni. Attorno al tavolo di creazione ogni volta, con gli stessi compagni di sempre, proviamo a costruire giochi scenici sofisticati intercalandoli con scemate divertenti. Mi piace fare ridere, sorridere, commuovere. Mi piace costruire bellezza».

Come è stato lavorare a Venezia e cosa rappresenta per lei questa città?
«È prima di tutto l’incontro tra Compagnia e il Teatro Goldoni un tempio del teatro, un luogo di storia e di tradizione. Lavorare con loro è stata un’avventura meravigliosa, ci siamo sentiti accolti, protetti e con attenzione sostenuti. Nelle mie settimane veneziane ho fatto chilometri, varie centinaia camminando dappertutto e mi ci sono perso tante volte, una bellissima sensazione».

Nello spettacolo troviamo attori, musicisti, ballerini, acrobati, clown. Cosa l’affascina in un artista?
«La sua umanità e la sua disposizione all’empatia. Cerco interpreti polivalenti inquieti, sempre alla ricerca della perfezione. Con alcuni c’è in patto di solidarietà costruito in anni di amicizia. Ci capiamo al volo, da lontano, anche senza vederci».

La sua compagnia festeggia i 40 anni di attività. Si immaginava quarant’anni fa di fare tutto quello che ha fatto?
«Proprio no».

Quali sono i momenti che la riempiono di orgoglio e di emozione di tutta la sua storia artistica, e perché?
«Il fatto che lavoro con lo stesso nucleo di creatori da tanti anni, che siamo riusciti a tenerci vicini, sostenendoci, aiutandoci a crescere. C’è stima, affetto e molto equilibrio tra di noi. Non facile da costruire, non facile da far maturare nel tempo. Sia nei momenti complicati come nemmeno quando sono arrivati i grandi successi ci siamo allontanati, credo che questo sia una delle cose di cui vado più fiero».

Al suo debutto teatrale venne ad assisterla Caterina Valente, che si è spenta a Lugano poche settimane fa, che ricordo conserva di lei?
«Tremendamente entusiasta, piena di affetto e allo stesso tempo diretta. È stata Maria che mi ha chiamato per dirmi che era morta, entrambi ci ricordavamo perfettamente l’impressione che ci aveva fatto tanti anni fa. A volte il garbo, un gesto, due consigli possono dare coraggio a chi sta provando a tentare di volare. A lei un grande grazie».

È impressionante come il pubblico l’ami moltissimo. I suoi spettacoli hanno sempre riempito i teatri. Come si è creato questo rapporto col pubblico?
«Credo che qui a casa tutti sanno che sono un ragazzo di quartiere, un vicino di casa, uno che incontri in montagna. Il pubblico viene ai nostri spettacoli come va a mangiare ogni tanto in un grotto, come ogni tanto vai su per un sentiero o prende il battello e porta la famiglia sul lago. Qui il bene è una questione legata ad antiche amicizie, a sorrisi lanciati da un marciapiede all’altro. L’affetto che il pubblico ci riserva invece dal Canada al Brasile, dalla Corea all’Australia invece mi sorprende. Ho iniziato che contavamo gli spettatori seduti in sala, qualche decina… e si era contenti. Sono diventati milioni e quei numeri li restano misteriosi, non entrano nel mio immaginario, quindi vi faccio meno caso. Ogni volta invece che il LAC si riempie un bagno di felicità non me lo toglie nessuno».

Entra nel canale WhatsApp di Ticinonline.
NOTIZIE PIÙ LETTE