
Una famiglia che ogni anno si riunisce per uccidere un fascista. Sul palco un comizio di destra che non lascia indifferente il pubblico
LUGANO - Lo spettacolo aveva già suscitato parecchie polemiche in Italia dove un deputato di Fratelli d’Italia (Federico Mollicone, componente della Commissione cultura) si era indignato per il tema affrontato nella pièce: una famiglia impegnata a uccidere fascisti.
Ieri sera è sbarcata al Lac “Catarina e a beleza de matar fascistas” (Caterina e la bellezza di ammazzare fascisti) opera notevole del regista Tiago Rodrigues, direttore del prestigioso Festival del teatro di Avignone, opera che nel 2023 ha vinto il Premio Ubu come miglior spettacolo straniero. Due ore e mezza di spettacolo rigorosamente in lingua portoghese con sottotitoli in italiano e in inglese che ruota intorno al dilemma se è lecito o meno praticare violenza per realizzare una società più democratica, se insomma è giusto difendere la democrazia uccidendo.
L’intera vicenda si riallaccia a un fatto storico accaduto il 19 maggio del 1954 sotto la dittatura di Salazar in Portogallo: durante una protesta sindacale di 13 donne, un militare della Guardia Nacional Republicana uccide la contadina Catarina Eufemia. La sua migliore amica allora ammazza il marito soldato che non è intervenuto per impedire la morte della ragazza.
La pièce è ambientata nel futuro, nel 2028 per l’esattezza. Ogni anno una famiglia si riunisce in una casetta per ammazzare un fascista in memoria dell’uccisione di Catarina. Tutti i componenti della famiglia portano il nome di Catarina. Questa volta tocca alla più giovane del gruppo. Ha appena 26 anni e per lei è la sua prima volta. La scelta cade su un deputato politico di destra. La ragazza però non se la sente di ammazzare, provocando le ire furibonde della madre che ha già ucciso invece sette di fascisti. La decisione della giovane Catarina solleva una serie di interrogativi che ci accompagneranno per l’intero spettacolo: cos’è un fascista? È proprio necessario arrivare ad uccidere per difendere la democrazia? È moralmente accettabile sparare contro un altro essere umano per combattere l'autoritarismo? Domande che si muovono sul filo delle citazioni tra Brecht e Gandhi e scuotono le coscienze. Qui si tratta di fare una scelta. La vita in fondo è fatta di scelte. Sparare oppure no? Il teatro diventa così una scelta civile. Il pensiero va allora ai racconti di Liliana Segre, quando negli ultimi giorni di prigionia ad Auschwitz un militare in fuga dal campo di sterminio, si liberò della divisa e della pistola che cadde proprio ai piedi di Liliana. L’istinto di prenderla e sparare al militare. Ma prevalse la scelta della non violenza.
Tornando allo spettacolo, al di là del colpo di scena che non riveliamo (la pièce è in programma stasera alle 20.30 al LAC) cambia registro nell'ultima mezzora quando il fascista destinato all’uccisione prende la parola e inizia un monologo di eccezionale bravura recitativa. Le luci in sala si accendono, e il monologo diventa una sorta di comizio politico infarcito di populismo nazionalista. Attacca la cultura woke, si scaglia contro il multiculturalismo, il femminismo, i diritto LGBTQ+, la globalizzazione, le minoranze. E lo fa con una insistenza e una dialettica così violenta che in sala c’è chi arriva a reagire nei confronti di colui che agli occhi degli spettatori sembra a tutti gli effetti una sorta di generale Vannacci. Qualcuno urla “uccidetelo, basta! Non si puo’ sentire”, “buffone”. Altri intonano Bella ciao. C'è chi si alza e se ne va. E poca importa se la reazione è spontanea o programmata. Lo spettatore è diventato protagonista, ha fatto la sua scelta: indignarsi e reagire con violenza (verbale in questo caso) oppure tacere.
Uno spettacolo certamente politico, ma potente, coinvolgente, che ti inchioda alla sedia grazie anche a un gruppo di attori impeccabili. «Non volevamo uno spettacolo che rassicurasse, confermasse o desse per scontato di sapere cosa pensa il pubblico e quali siano le sue convinzioni. Volevamo uno spettacolo che inquietasse, indipendentemente dalle convinzioni di chi lo guarda; che offrisse piacere, naturalmente, ma un piacere inquietante» ha spiegato il regista. Obiettivo centrato.