I deputati Lepori, Arigoni e Pronzini interpellano il Consiglio di Stato. Il caso di una paziente di 91 anni
BELLINZONA - Il Movimento per il socialismo torna nuovamente alla carica puntando il dito contro la «carenza di qualità» delle cure riscontrata presso il Centro Somen di Sementina, già oggetto di due interrogazioni firmate da Matteo Pronzini e risalenti rispettivamente ai mesi di marzo del 2018 e del 2019.
Il caso - «Siamo stati facili profeti?» scrivono oggi in un’interpellanza i deputati MPS, rivolgendo una nuova serie di domande al Consiglio di Stato accompagnate dalla segnalazione di un caso risalente allo scorso mese di ottobre. Nella fattispecie si parla del “soggiorno terapeutico temporaneo” di una paziente di 91 anni, che un paio di settimane dopo il ricovero ha iniziato ad accusare gravi problemi di salute.
«Assenza di reazione da parte del personale sanitario». Settimane di diarrea «dovuta ad un accumulo di lassativi». Acuti dolori alla schiena «trattati con delle semplici Dafalgan». Una situazione che «stava precipitando», ha spiegato la nipote dell’anziana che ha quindi convinto la prozia a farsi dimettere dal centro*.
Struttura e condizioni del personale - Alla luce della testimonianza i deputati Lepori, Arigoni e Pronzini hanno così deciso di interpellare nuovamente il Governo, chiedendo di quantificare il numero di ricoveri dal Centro Somen al pronto soccorso dell’Ospedale di Bellinzona dall’apertura del centro ad oggi, quanti di questi sono imputabili a «una presa a carico insoddisfacente/insufficiente da parte del medico del centro» e quanti pazienti hanno volontariamente abbandonato la struttura.
Sul tavolo l’MPS mette anche la questione della qualità del lavoro presso il Centro Somen, chiedendo al Consiglio di Stato se sia a conoscenza o meno delle «regolari vessazioni» subite dal personale e invitandolo a fornire le cifre sul numero di «malattie riconducibili al sovraccarico lavorativo/burnout» verificatesi dall’apertura della struttura.
*La testimonianza riportata dall'MPS
“Nel corso del mese di ottobre 2019 la mia prozia, classe 1928, è stata ospite del Centro Somen di Sementina per un cosiddetto “soggiorno terapeutico temporaneo”. Scopo del ricovero: rinforzare il suo stato di salute, farle “cambiare aria” e permetterle di approfittare quotidianamente di sedute di fisioterapia.
Una premessa è d'obbligo: stiamo parlando di una donna che vive sola, capace di discernimento e perfettamente lucida mentalmente.
Tutto si è svolto per il meglio fino a quando, dopo due settimane di permanenza al centro, la mia prozia ha iniziato ad accusare gravi problemi di salute. Lei che al momento dell'entrata nella struttura era in grado di camminare, si è trovata, incapace di alzarsi se non con l'aiuto di terzi, in preda ad acuti dolori alla schiena.
Si dirà che lo stato di salute di una signora di 91 anni è precario, delicato, vulnerabile.
Il problema è però un altro: l’assenza di reazione da parte del personale medico.
Trattato con delle semplici Dafalgan il dolore non ha fatto che aumentare. Abbiamo più volte insistito affinché un medico la visitasse ed eseguisse degli accertamenti, ma il nostro desiderio è rimasto inascoltato.
Indebolita da una diarrea inarrestabile durata settimane, la mia prozia ha inoltre dovuto combattere affinché la sua dieta venisse adattata al suo stato di salute. Finalmente annotata nella cartella clinica, la modifica non è però stata comunicata ai responsabili della mensa. Vedendosi servire lo stesso pasto degli altri ospiti, si è dunque rifiutata di mangiare ribadendo che le spettava un diverso menù. “Signora, ma lei deve mangiare, altrimenti non potrà prendere le medicine per la schiena”. Mangiare sì, ma cosa? Il buon senso, da solo, sarebbe bastato a capire che un minestrone non era certo l'opzione più adatta.
Dopo otto giorni di dolore, finalmente un medico è entrato in camera della mia prozia. Senza visitarla si è limitato ad indicare che:
Di punto in bianco e senza preavvisare nessuno, a mia prozia viene poi fatta una flebo per trattare l’osteoporosi. Questo trattamento viene eseguito dal suo medico di famiglia una volta all’anno, esclusivamente quando la paziente è in buona salute. Nel caso specifico si era deciso di non procedere al trattamento vista la sua incompatibilità con l’estrazione di un dente che la prozia avrebbe forse dovuto subire in primavera.
La situazione stava dunque precipitando, quando una ricerca online mi ha permesso di risalire alle sue due interpellanze al Consiglio di Stato. Sono raggelata, quello a cui assistevamo era dunque prassi.
È soltanto leggendo ad alta voce le sue domande che sono riuscita a convincere i miei parenti a far dimettere volontariamente la prozia dal Centro Somen. Di questo la ringrazio di cuore.
Una volta dimessasi, è stata visitata dal suo medico curante, che l’ha trovata molto debilitata. Completata la diagnosi con le radiografie del caso, è quindi stato costretto a prescriverle una cura a base di morfina per alleviare i lancinanti dolori, in effetti una vertebra risultava schiacciata!
Ha inoltre notato che il medico del Centro Somen le aveva prescritto ulteriori sedute di fisioterapia da effettuare dopo la dimissione, senza però indicare la diagnosi.
Dopo tre settimane di cure adeguate al suo stato di salute la prozia che, piangendo, pregava per morire, è ritornata a star bene e, da pochi giorni, a vivere nel suo appartamento.
Questo, sommariamente, l’accaduto”.
Le domande dell'interpellanza