Il racconto di una 94enne che trascorse sei mesi all'interno del campo di concentramento
BOLOGNA - “Quando sono entrato a Dachau nel 1944 ho visto cosa fosse l’Inferno che Dante Alighieri raccontava nella Divina Commedia” - gli occhi sono sbarrati, come a rammentare l’orrore che ha vissuto sulla sua pelle - “avevo solo 19 anni e ci sono rimasto 6 mesi, ma è un marchio rovente che non andrà mai più via”- quel ragazzo, oggi è una donna di 94 anni ed è l’unica transessuale sopravvissuta a Dachau. Si fa chiamare Lucy, ma all’anagrafe è registrata come Luciano Salani, nato nel 1924 in Piemonte e qui a Bologna, dove vive da molti anni, è il punto di riferimento della comunità Lgbt, che la coccola come una nonna.
Una delle prime che scelse la vaginoplastica - Del resto, in un Paese come l’Italia, dove il tema dell’omosessualità è ancora un tabù, è facile capire come Lucy sia diventata un’icona: negli anni ‘60 è stata una delle prime transessuali italiane a sottoporsi ad un’operazione di vaginoplastica a Londra, coronando quella che da sempre è stata la sua natura: “l’ho fatto perché mi sono sempre sentita una donna, non un uomo”.
Gioventù e prostituzione nell'Italia fascista - La sua incredibile storia inizia nella Bologna degli anni’30, dove si era trasferita con i genitori, nel capoluogo emiliano conosce un gruppo di ragazzi omosessuali e insieme a loro, a soli 16 anni, inizia a prostituirsi. Il suo nome d’arte diventa Carmen: “I nostri clienti erano sia ragazzi poco più grandi di noi che uomini di una certa età, lo facevo per soldi ma era un lavoro poco faticoso e che mi piaceva”. In quegli anni l’Italia era sotto la dittatura fascista di Benito Mussolini, non erano certo tempi facili per chiunque fosse “diverso” e il divertimento principale dei giovani camerati bolognesi era dar la caccia ai “busoni” e a quel gruppo di “scandalose”. “I fascisti ci facevano veri e propri agguati”- racconta Lucy- ”ci adescavano fingendo di volere un rapporto sessuale e ci portavano in qualche vicolo dove ci aspettava il resto del gruppo e lì ci picchiavano, ci rasavano i capelli e ci mettevano il catrame nel sedere”.
La vita nell'esercito - Nel 1940 l’Italia entra in guerra e per Lucy arriva la chiamata alle armi, al Duce serve la forza dei giovani italiani: “durante la visita di leva dissi di essere omosessuale, ma non mi credettero, mi risposero che tutti fingevano di esserlo per non andare in guerra” e così “una scandalosa” si ritrova nell’esercito fascista, destinazione Cormons. Lucy nei suoi nuovi panni di soldato, non riuscì a sparare neanche un colpo, perché l’8 settembre del’43 Badoglio firma in gran segreto l'armistizio con le forze alleate, l’esercito si scioglie e tutti scappano via.
La cattura - Mentre torna a Bologna, viene catturata dai fascisti: “avevo abbandonato l’esercito ed ero un disertore, mi dissero: o con i fascisti o con i tedeschi. Risposi: non vorrei né l’uno né l’altro, mi mandarono con i tedeschi”. Così Lucy si ritrova a far la guardia ai cannoni antiaerei sotto la diga di Suviana: “ma io lì non volevo starci, non ero adatto ad un esercito, perché dovevo stare coi tedeschi? Era inverno e mi buttai in acqua, presi una bronchite e mi ricoverarono in ospedale, dal quale scappai per tornare a Bologna”.
Il tranello della Gestapo - Per sopravvivere, una volta tornata a casa, Lucy continua a prostituirsi fin quando non le capita il cliente sbagliato: un nazista, che la porta in un albergo del centro per consumare la prestazione sessuale, ma sul più bello nella camera irrompe la Gestapo: “il soldato tedesco viene fatto uscire dalla porta in fretta e furia e io vengo bloccata”. Di fronte alla surreale scena di un’omosessuale nudo in camera con un soldato nazista, la polizia tedesca sceglie di graziare il proprio commilitone e per insabbiare la vicenda processano la povera Lucy per la sua diserzione dall’esercito.
La prigione, la grazia e i lavori forzati - “Nella tragedia sono stata fortunata, perché se mi avessero sorpreso a letto insieme a un civile sarei finita nei campi di concentramento per omosessuali e lì sarei sicuramente morta, devo la vita a quel soldato nazista” ci racconta Lucy seduta al tavolo della sua cucina. La pena per la sua diserzione è la condanna a morte, ma dalla prigione Lucy chiede la grazia al generale Albert Kesselring, comandante supremo di tutte le forze tedesche di stanza in Italia. Il generale le concede la grazia, ma la pena è da scontare ai lavori forzati in Germania: “Mi hanno messo su un treno, legato con un catena alla caviglia e mi hanno portato in Austria, in uno stabilimento di armi, dove fabbricavano le V1, le V2 e i pezzi di queste bombe”.
Destinazione Dachau - Lo stabilimento è presidiato da soldati nazisti e ben difeso da recinzioni e filo spinato, ma la voglia di libertà e il coraggio di Lucy, non conoscono barriere, così, dopo due settimane di intenso lavoro, insieme a un altro detenuto tenta la fuga: “abbiamo scavalcato la recinzione e siamo scappati verso la stazione, lì ci siamo nascosti sotto i vagoni di un treno, abbiamo viaggiato sulle ruote aggrappati ad una sbarra”. Purtroppo il treno che avevano scelto non li porterà in Italia, ma si dirige verso l’interno della Germania, oltre Berlino. Una volta scesi in una stazione, i due vengono beccati dalla Gestapo: “ci hanno riempiti di botte e poi ci hanno caricato su un altro treno, pieno di gente, abbiamo viaggiato un po' e poi ci hanno fatto scendere”. La prima cosa che Lucy nota è la scritta: “Arbeit macht frei” (Il lavoro rende liberi) , era il 1944 e lei era all’ingresso del campo di Dachau. Ci resterà solo 6 mesi, prima di essere liberata dagli americani, il tempo necessario per capire che l’unico modo per sopravvivere era lavorare, perché come ci tiene a precisare: “se lavoravi avevi diritto a mangiare: una brodaglia e un piccolo pezzo di pane”, mentre intorno a lei, chi non aveva più le forze, veniva lasciato letteralmente morire di fame.
«Ero solo un numero, non avevo più un nome» - “Appena sono arrivata a Dachau”- racconta Lucy- “hanno fatto l’appello e poi un nazista ci ha detto: da adesso in poi scordatevi il vostro nome, siete un numero”. Il campo di concentramento di Dachau, a pochi km da Monaco di Baviera, era tristemente noto per le sperimentazioni sugli esseri umani: “ho visto con i miei occhi, una piscina dove facevano annegare la gente e cronometravano quanto tempo impiegavano per morire, ho visto bruciare persone vive nei forni crematori, ogni giorno trasportavo carretti pieni di cadaveri”. Un inferno nel quale Lucy si è trovata sola: “non si poteva parlare tra di noi, se i nazisti ti vedevano ti sparavano”, l’unica compagnia costante era la morte: “ Alla mattina trovavi attaccati alla recinzione elettrificata, i corpi di chi aveva provato a scappare durante la notte, morivano tutti e in tanti modi diversi: di dissenteria, di fame, di botte, a volte sparavano in testa a qualcuno solo per divertimento e poi i nazisti si mettevano a ridere”.
La liberazione - Poi finalmente il 29 aprile del 1945 gli americani liberano Dachau, e qui ancora una volta la fortuna viene incontro a Lucy: “ prima che arrivassero gli americani, quei bastardi dei tedeschi, ci hanno fatto uscire per fare l’appello e all’improvviso dalle torrette ci hanno sparato con le mitragliatrici, io sono stata colpita a una gamba e sono svenuta, quando mi sono svegliata mi stavano curando, ma di quel giorno io non ho visto niente”. Oggi Lucy a 94 anni è una donna soddisfatta della sua vita:” ho sempre fatto tutto quello che volevo fare- ci dice – “non ho rimpianti,tranne quello che ho visto in Germania, è come un marchio rovente che non andrà mai più via, la notte mi sveglio e ho degli attacchi di panico, come quando ero lì a Dachau, ma ormai ho imparato a conviverci perché ti accompagna tutta la vita, non andrà mai via”.