La richiesta dei medici, per il timore di una terza ondata ancora più devastante
MILANO - Nelle regioni italiane che da zone rosse diventano arancioni (o gialle) in questi giorni si sta vivendo una situazione schizofrenica: da un lato i commercianti (ma non i ristoratori cui sono consentiti solo asporto e consegne a domicilio) esultano per la riapertura, affiancati da quei cittadini che si sentono limitati nelle loro libertà dalle misure anticontagio.
In tutt’altra posizione il mondo sanitario, che già a fine ottobre invocava un lockdown totale e nazionale. Il presidente dell’Ordine dei medici di Milano Roberto Carlo Rossi aveva lanciato l’allarme: «Con un'altra settimana così andiamo a sbattere. Non abbiamo più posti dove mettere le persone che si ammalano».
Da allora in Lombardia (e non solo) qualche misura più restrittiva è stata presa, ma non è servita a evitare il crollo di un sistema già minato all’interno dalla mancanza di programmazione e organizzazione in vista della, prevista, seconda ondata.
Di nuovo tutto il personale sanitario è allo stremo e lo denuncia ogni giorno, tramite iniziative dimostrative negli ospedali e nelle città, per stigmatizzare la continua improvvisazione, le mancate assunzioni e l'assenza di una vera medicina del territorio. E poi il numero dei medici morti causa Covid: dal primo ottobre sono stati 22, come scrive il portale della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici e, dall’inizio dell’epidemia, i decessi sono stati oltre 200.
Nessun allentamento delle misure, nemmeno in vista del Natale, è insomma quello che i medici continuano a ripetere perché i numeri vanno letti in prospettiva: se oggi gli indici di contagiosità migliorano è proprio per le restrizioni e allentarle significa, statistica docet, condannare l’Italia delle prossime settimane a una terza ondata.