Al di là della “stretta” del post-Campidoglio Facebook & co. hanno da sempre dato più visibilità ai post di destra
NEW YORK - La stretta sui gruppi di estrema destra, e la chiusura degli account di Donald Trump, ha causato una levata di scudi da parte di diverse personalità del mondo conservatore di tutto il mondo.
L'accusa è pressoché unanime: all'improvviso i social si sono "spostati" a sinistra, mostrandosi assolutamente non imparziali e censurando un certo tipo di discorso.
Stando a uno studio recente della New York University, ripreso anche dal Guardian, non sarebbe affatto così, anzi. L'esperto di disinformazione Paul Barrett e il teorico della comunicazione J. Grant Sims hanno scoperto che... sarebbe vero il contrario.
«Gli algoritmi dei social, per come sono stati ideati, hanno fino a oggi amplificato maggiormente i contenuti di stampo conservatore, o di destra, rispetto a quelli più liberali e non profilati», conferma la ricerca che reputa le accuse di cui sopra: «una sorta di fake news prive di dati a supportarle».
A permettere a questa maggiore visibilità il sistema pensato da Facebook, Twitter & co. che premia le interazioni: «I post più cliccati sono quelli che vengono più facilmente promossi dal sistema», spiega lo studio.
Una tesi, questa, esposta più volte dai critici e pensatori, americani ma non solo, che sostengono che i social network abbiano apertamente approfittato dei pensieri più estremi, monetizzando dati e contatti dei suddetti post fino a quando possibile per correre ai ripari in un secondo momento (ovvero dopo l'assalto al Campidoglio e l'indignazione).
Al di là della polemica, che può anche essere fine a sé stessa, è comunque necessario parlare del grande problema che affligge i social media: «Quello di cui abbiamo bisogno è che si risolva la questione della moderazione e dei regolamenti relativi ai contenuti», conferma Barrett, «solo abbandonando i preconcetti sbagliati si può intavolare questo tipo di discorso».