La storia si ripete. La Casa Bianca annuncia dazi alle auto importate, come accadde nel 2018, quando Marchionne tese la mano al Presidente.
WASHINGTON - I dazi? «Non sono la fine del mondo». Così disse nel 2018 l'allora numero uno di Fiat-Chrysler, Sergio Marchionne, nel bel mezzo del caos generato dalle tariffe sulle auto importate annunciate da Trump, al suo primo mandato presidenziale. Parole attualissime oggi, dopo che mercoledì - a mercati americani chiusi - il Presidente ha deciso di imporre dal 2 aprile una tassa del 25% sulle auto importate negli Stati Uniti, inclusa una serie di componenti.
La scure di Trump si abbatte così su un mondo che piomba nella preoccupazione, a cominciare dagli esperti Usa che prevedono un aumento dei prezzi per i consumatori americani, una difficoltà di approvvigionamento e una drastica riduzione della produzione (sono circa un milione gli americani che lavorano nel settore produttivo e due milioni nella vendita), passando per l'UE che si è detta «rammaricata» dalla decisione della Casa Bianca e per il Canada che ha parlato di «attacco diretto», fino alle Borse europee che, fin dall'inizio della giornata di ieri, sono state appesantite dal segno meno dei più grandi produttori.
«Capisco politicamente la posizione di Trump»
Ma ecco che nel caos generale - del resto quasi la metà di tutti i veicoli venduti negli Stati Uniti sono importati - risuonano ancora le parole pronunciate sull'argomento nel giugno del 2018 dal manager italo canadese, scomparso poco tempo dopo (il 25 luglio del 2018) per una grave malattia. «È un problema da gestire, è tutto gestibile - disse ai microfoni dei giornalisti italiani Marchionne -, il pandemonio a livello internazionale che si è scatenato non è certo una cosa positiva ma capisco politicamente la posizione di Trump».
Che in effetti va a colpire chi non produce negli States, a prescindere dalla nazionalità delle case automobilistiche: le tariffe - specifica il New York Times - colpiranno sia i marchi stranieri sia quelli americani, dato che Ford e General Motors assemblano alcuni dei loro veicoli in Canada e in Messico. Oltre a quelli applicabili all'industria automobilistica, dal 2 aprile ci saranno però anche i "dazi reciproci" nei confronti di 15 Paesi con cui gli USA hanno il peggior squilibrio commerciale, tra questi la Svizzera.
«Correggere le anomalie che ci sono negli scambi commerciali»
Anche a questo riguardo Marchionne aveva dato la sua interpretazione. «Credo che bisogna correggere delle anomalie che ci sono negli scambi commerciali. E lui (Trump, ndr) ha un approccio estremamente diretto nel cercare di correggerle. L'estetica del processo impaurisce, perché è immediato. L'obiettivo però sarà un altro e credo che ci sarà una base su cui ristabilire un equilibrio: sediamoci al tavolo e lavoriamo». Benedetta diplomazia, verrebbe da dire a distanza di ormai sette anni.
Ma tornando nuovamente al presente, in un immaginario elastico temporale con il 2018, appare quanto mai delicata la posizione europea, che negli USA ha il suo principale mercato per l’export di auto: circa un quarto del totale delle esportazioni del settore, mercato che nel 2024 ha raggiunto i 38,4 miliardi di euro (dati Il Sole 24ore).
«Parlare dell'Europa in senso collettivo è sbagliato»
Sulla risposta che Bruxelles è chiamata a dare ci aiutano nuovamente le parole dell'ex Ceo di FCA che, con voce affannata ma generosa, spiegò quanto sia sbagliato generalizzare: «L'Italia e la Francia hanno un flusso di vetture completamente diverso rispetto alla Germania verso gli Stati Uniti. Quindi parlare dell'Europa in senso collettivo è sbagliato e bisogna stare molto attenti a vedere che tipo di accordi vengono stabilili tra gli Stati Uniti e i Paesi europei». Come si fa con «l'insalata», insomma, «bisogna togliere una foglia alla volta».
L'oggi diviso, tra stime e sindacati
Per quanto riguarda infine le stime, si prevede che una famiglia americana dovrà pagare 3mila dollari in più per un'auto costruita in USA a causa delle tariffe (25%) sui beni made in Canada e Messico e fino a 6mila in più per quelle importate dai due Paesi confinanti (fonte Cox Automotive). In tutto questo, la decisione del tycoon incassa l'appoggio del sindacato di categoria United Automobile Workers: «È un ritorno a politiche che danno priorità ai lavoratori che costruiscono questo Paese, piuttosto che all'avidità di aziende spietate».