Laila* è scappata dal conflitto in Cecenia assieme alla sua famiglia. In intervista a tio/20minuti ha raccontato la sua storia
La prima guerra di Cecenia (1994 - 1996) portò alla dichiarazione d’indipendenza e alla proclamazione della Repubblica di Cecenia. Successivamente le truppe dell'esercito russo invasero i territori indipendentisti e nel 1999 commisero massacri nel nome dell’integrità territoriale della Federazione russa. Come molte altre persone Laila scappò dalle bombe assieme alla sua famiglia, intraprendendo un pericoloso viaggio verso l'Europa e insediandosi infine in Germania. «Ricordo molte cose di quel periodo buio. I russi avevano ridotto il Paese in macerie. Non avevamo accesso alla rete elettrica e l'acqua potabile scarseggiava», ha raccontato a tio/20minuti.
Una popolazione allo sbando - All'epoca i cittadini ceceni si arrangiavano come potevano, commerciando tra loro e sostenendosi a vicenda: «Ci si scambiava patate, pomodori, cetrioli e mais. Il pane veniva cotto in grandi forni a legna. Chi possedeva animali vendeva carne, pelli o latte».
Stando al suo racconto, erano in molti a patire la fame e il freddo: «Il cibo scarseggiava a causa delle restrizioni commerciali imposte dalla Russia e andare al mercato era troppo pericoloso. Non potevamo mangiare le verdure dell'orto perché erano contaminate dalle armi chimiche. Ma le abbiamo mangiate comunque».
Chi poteva permetterselo partiva per l'Europa per sfuggire all'oppressione russa. Molti ceceni morirono di freddo, annegarono o si dispersero nel disperato tentativo di raggiungere l'Europa. Laila e la sua famiglia fuggirono prima in Daghestan e poi in Russia: «Ricordo che al confine c'erano controlli ogni chilometro e se non si pagava non si poteva passare. I soldati picchiavano o fucilavano la gente per strada e si appropriavano di quel poco che avevano».
In Russia sono stati accolti con ostilità. Anche perché la propaganda di Stato ha sempre raffigurato i ceceni come terroristi: «Ti sembro una terrorista?».
L'accoglienza in Germania - Sballottati da un campo profughi all'altro, sono stati successivamente collocati in un appartamento condiviso con altre famiglie di rifugiati: «In casa nascevano spesso dei litigi a causa dei traumi che ognuno portava con sé».
I genitori di Laila non potevano seguire corsi di formazione o lavorare perché non possedevano un passaporto tedesco, ma solo uno statuto che impediva loro di allontanarsi più di 250 chilometri dall'istituto di rilascio: «Se si usciva dall'area o si infrangevano altre regole si riceveva una multa». Ma non sarebbero comunque stati in grado di pagarla: «Ricevevamo solo buoni da spendere in negozi di alimentari o abbigliamento». I buoni vennero poi sostituiti dai contanti, che Laila e la sua famiglia andavano a ritirare presso un ufficio governativo: «In media, ricevevamo 1000-1500 euro al mese per una famiglia di sette persone».
Lo Stato tedesco non è mai stato particolarmente comprensivo: «Nel 2005 ci è stata recapitata una lettera del ministero dell'Interno che ci informava che nostro fratello sarebbe stato deportato in Cecenia a breve. Fortunatamente un tribunale è stato in grado di ribaltare la situazione».
Allo scoppio della guerra in Ucraina, Laila e la sua famiglia avevano ancora la cittadinanza russa. Perciò lo Stato tedesco ha congelato le loro richieste di cittadinanza: «Viviamo in Germania da 21 anni e ci sentiamo (e siamo di fatto) ancora stranieri».
*Nome noto alla redazione