I prezzi sono cresciuti, e pesano in particolare i combustibili: la benzina fa registrare un +26,3% su base annua
Comunque un trend simile si registra a livello internazionale
BERNA - I prezzi di beni e servizi sono cresciuti in maniera sostenuta in Svizzera e all'estero negli ultimi mesi, sollevando timori di un'inflazione elevata. Mentre le banche centrali sono in allerta, gli economisti sono divisi sulla durata del fenomeno che è decollato con la frenetica ripresa economica post-Covid.
In Svizzera, l'indice dei prezzi al consumo (IPC) ha accelerato continuamente dall'inizio dell'anno. Era ancora a -0,5% su base annua in gennaio ed è salito all'1,2% in ottobre. Bisogna tornare all'agosto 2018 per trovare un livello paragonabile. Siamo comunque ancora molto lontani dal 3,1% raggiunto nel luglio 2008 al culmine della crisi dei subprime. Allora l'inflazione svizzera aveva chiaramente superato l'obiettivo di stabilità dei prezzi definito dalla Banca Nazionale Svizzera (BNS) di un IPC «inferiore al 2%».
In ottobre, sono stati soprattutto gli idrocarburi a pesare sul borsellino. I prezzi dell'olio combustibile sono saliti del 50,1% su base annua, la benzina del 26,3% e il diesel del 21,9%. Come risultato della carenza di auto nuove, le auto di seconda mano sono aumentate di prezzo del 7,9%.
Per Olivier de Berranger, responsabile degli investimenti presso La Financière de l'Echiquier, «lo squilibrio tra domanda e offerta» è la «causa fondamentale delle attuali pressioni inflazionistiche». La ripresa fulminea del consumo globale, dopo i confinamenti delle prime ondate di Covid-19 nel 2020, ha effettivamente messo a dura prova le risorse di produzione e la logistica internazionale, causando grossi colli di bottiglia, soprattutto nei semiconduttori.
Viste le tradizionali campagne promozionali come il Black Friday o il Cyber Monday, così come le festività di fine anno che generano un'elevata spesa dei consumatori, «c'è probabilmente poco da aspettarsi a breve termine da una moderazione della domanda. È più nella capacità di adattamento dell'offerta che dobbiamo riporre le nostre speranze», afferma de Berranger.
L'aumento dei prezzi è globale. Mirabaud Banque sottolinea che negli Stati Uniti, i prezzi di alcuni prodotti e servizi hanno registrato un balzo avanti: non solo i prodotti energetici (+49,5%) e i veicoli di seconda mano (+26,4%), ma anche il tabacco (+8,5%) e gli alimentari a domicilio (+5,4%). «Questi risultati sono significativi perché mostrano che non sono solo i prezzi dell'energia a sconvolgere l'inflazione, ma molti altri beni», afferma John Plassard, vice direttore della banca di Ginevra.
Dall'altra parte dell'Atlantico, l'inflazione ha raggiunto il 5,0% su base annua in ottobre (indice PCE), l'aumento più alto dal 1990. Nella zona euro è del 4,1%, il massimo in 13 anni.
Per il futuro, gli specialisti si interrogano sulla traiettoria dell'inflazione. È solo transitoria o rischia di essere prolungata? La segretaria al Tesoro americano, Janet Yellen, prevede che i prezzi si modereranno nella seconda metà del 2022, ma i membri della Federal Reserve (Fed) sono divisi.
Attenzione all'inverno
Secondo UBS, «i prezzi di alcuni beni e servizi che sono fortemente influenzati dalla domanda, come le auto usate e l'abbigliamento, hanno iniziato a normalizzarsi». Anche i prezzi dell'energia dovrebbero stabilizzarsi, secondo la grande banca, grazie alla messa in funzione di nuove capacità di produzione. La pressione sul mercato del lavoro, a corto di lavoratori qualificati, dovrebbe normalizzarsi e i salari stabilizzarsi.
Tuttavia, i rischi rimangono, avverte la banca nel suo outlook del 2022. Un inverno più rigido del previsto potrebbe far salire i prezzi dell'energia, così come norme ambientali più severe potrebbero pesare sulla tassazione. Il mercato del lavoro inoltre potrebbe impiegare più tempo per tornare alla normalità, esacerbando la pressione sui salari.
Una tale situazione rischia di avere un effetto negativo sulla domanda dei consumatori e le banche centrali potrebbero essere inclini ad «aumentare i tassi di interesse troppo presto, troppo velocemente e a un livello troppo alto», avverte UBS.
Le banche centrali sembrano avere fretta. Il capo della Fed, Jerome Powell, ha recentemente detto che «userà gli strumenti in suo possesso sia per sostenere l'economia e la forza del mercato del lavoro sia per evitare che l'alta inflazione metta radici». Alla Banca centrale europea, la presidente Christine Lagarde ritiene «molto improbabile» che i tassi aumentino il prossimo anno.
La Fed aveva annunciato che stava iniziando a normalizzare la sua politica monetaria riducendo gli acquisti di asset. Gli economisti di UBS si aspettano che la banca centrale americana non ritocchi i tassi fino al 2023. La BCE potrebbe ridurre ulteriormente i suoi riacquisti del debito e aspettare ancora di più prima di alzare i tassi.
Anche la BNS sarà probabilmente cauta sul fronte dei tassi d'interesse, con un'inflazione prevista allo 0,7% nella Confederazione.