Martino Marconi, membro di coordinamento della Gioventù comunista
Ero in biblioteca, quando ho scoperto che sarebbe stata l’ultima volta che ci sarei stato quest’anno. Fossi stato uno sciatore mi sarei consolato col pensiero della settimana bianca che avrei potuto normalmente fare a natale. Purtroppo non mi diletto nello sci, anche se rimango uno studente, e come tale dedito alla frequentazione di biblioteche, luoghi di cultura e di studio.
Non potrò più tornarci, da qui a un mese, a causa delle nuove disposizioni del consiglio federale, esposte in conferenza stampa proprio mentre studiavo in filanda. Finalmente il Consiglio federale ha ritrovato il coraggio di chiudere, sembrerebbe, peccato però che le chiusure annunciate venerdì sono estremamente sconclusionate e vadano a colpire ancora una volta chi già ha sofferto della crisi: gli studenti. Lungi da me il vittimismo, sono in tanti coloro che hanno sofferto di questa situazione, e noi studenti siamo solo gli ennesimi ad essere colpiti. Questa volta, però, siamo non siamo colpiti per necessità superiori o ci viene richiesto di fare la nostra parte come poteva essere a marzo, e prova ne è il mantenimento dell’apertura delle piste da sci. Quello che queste misure non colgono è il ruolo che le biblioteche ricoprono per gli studenti, perché non si tratta solo di depositi di libri da cui è possibile prenderne in prestito qualcuno, ma di un’istituzione di cultura che offre spazi, risorse e condizioni adatti allo studio, cose che molti non possono trovare a casa propria. Non tutti viviamo in case spaziose con famiglie alla Mulino Bianco, e spesso lo studio a casa può risultare difficoltoso per il gran numero di stimoli esterni che impossibilitano la concentrazione, a differenza di una biblioteca, ambiente sviluppato appositamente per questi propositi. Mi viene detto dell’università di Ginevra, che mette a disposizione le biblioteche come aule studio e le aule di informatica per chi non dispone di un computer a casa.
Verrebbe poi da chiedersi se le biblioteche siano dei luoghi critici per quanto riguarda la diffusione del contagio da SARS-CoV2. Sarebbe pretestuoso lanciarsi in considerazioni statistiche senza dati alla mano (i dati su dove sia avvenuto il probabile contagio non vengono prodotti, per un’ovvia impossibilità nel determinare con certezza il momento e il corrispettivo luogo del contagio), però risulta perlomeno discutibile il fatto che parallelamente a questa misura le piste da sci, i cui dati statistici di rischio di infortuni sono prodotti, rimangono aperte. Considerando che il tasso di occupazione delle terapie intensive è del 75% (fonte: https://www.covid19.admin.ch/it/hosp-capacity/icu) risulta difficile credere che gli infortuni che avverranno (statisticamente) sulle piste da sci non avranno nessun influsso sull’aumento della pressione sugli ospedali, che come detto sono già molto impegnati, contrariamente alle biblioteche, il cui rischio di infortunio è infimo.
Ho già detto come le biblioteche siano un riferimento importante per gli studenti per vari motivi, ma oltre a questi va a sommarsi la sessione di esami invernale per gli studenti universitari. A marzo, e per i mesi seguenti, chi è stato penalizzato dal lockdown è stato giustamente risarcito, ma oggi non vediamo un parallelo per le categorie colpite. Non sto parlando di un risarcimento finanziario, beninteso, ma di misure accompagnatorie (come erano quelle di marzo, a titolo di esempio cito il lavoro ridotto) che non mettano in condizioni estreme e critiche gli studenti che dovranno dare esami a gennaio. È assurdo come in questo frangente non si sia pensato a questo tipo di misure, lasciando il tutto allo spirito di sacrificio degli studenti.
Quindi, riprendendo quanto detto in apertura, sembra solo che il Consiglio federale abbia ritrovato un coraggio, che però non è dato nei fatti, anzi, sembrerebbe quasi che queste chiusure siano più di immagine che non tese alla limitazione del contagio. Purtroppo però quest’immagine poggia sugli studenti e sul diritto allo studio, che ancora una volta traballa; e chi sa se per lui ci sarà un posto in terapia intensiva.