Mihajlovic, mister del Bologna: «Sono un soldato, ci ho messo mentalità e voglia di vivere, ma il merito è dei dottori»
BOLOGNA - Schietto, diretto e mai banale, Sinisa Mihajlovic è tornato a parlare della brutta malattia che lo ha colpito e delle sue conseguenze. «Durante la mia carriera sono sempre stato uno che divideva, non sono mai stato uno che univa e me ne prendo le responsabilità - ha spiegato Miha riferendosi al suo passato da calciatore, ma anche al presente da allenatore - Con questa malattia praticamente sono riuscito a riunire tutti, anche quelli che mi insultavano e dicevano "zingaro di m****...". All'inizio mi piaceva, ero contento. Poi però mi sono detto: "Così è tutto piatto, non posso andare allo stadio che mi applaudono tutti"», ha aggiunto col sorriso il mister del Bologna, intervistato da "Radio 105".
Il tecnico, con la solita grinta e grande carattere, ha combattuto come un soldato contro la leucemia, che gli era stata diagnosticata nell'estate 2019. «Mi ha aiutato molto essere uno sportivo, io sono un malato di regole, anche perché sono cresciuto in un Paese dove la disciplina era fondamentale. Essendo anche un soldatino facevo tutto quello che serviva a livello di cure: combattevo tutti i giorni. Io ho fatto del mio, però il merito va ai dottori. Io ci ho messo la mentalità e la voglia di vivere, di combattere, di lottare».
Poter lavorare con la squadra (anche a distanza), ha dato a Mihajlovic una forza enorme. «Anche nei momenti peggiori sono sempre stato presente, non c'è mai stato un distacco e anche questo mi ha aiutato nelle giornate interminabili in ospedale. Seguivo tutti gli allenamenti, ero collegato e mi serviva anche per arrabbiarmi con lo staff, con i giocatori, mi tenevano in vita. Appena potevo tornavo a guidare la squadra: non ho voluto mai darla vinta alla malattia».