Orari di lavoro troppo lunghi e una burocrazia esagerata spingono molti giovani medici ad abbandonare. E il sistema sanitario è già in crisi
ZURIGO - Stress, un'immensa pressione, turni troppo lunghi e un'eccessiva burocrazia.
Sempre più giovani medici in Svizzera si lamentano delle pessime condizioni di lavoro. Un sondaggio effettuato dalla Neue Zürcher Zeitung e pubblicato oggi, condotto su oltre 4'500 medici assistenti nella svizzera tedesca, conferma questa situazione.
Il quotidiano zurighese definisce «scioccanti» i risultati dell'analisi. Tutti raccontano esperienze simili e giungono alla stessa conclusione: se non cambia nulla, il sistema sanitario svizzero avrà seri problemi. Questo perché la pressione è alta, la qualità della formazione in calo (e in molti ospedali, a quanto sembra, non avviene affatto nonostante il mandato), e le condizioni di lavoro sono pessime.
Le conseguenze di questo cocktail di fattori sono preoccupanti: per i giovani medici che subiscono la situazione, e che decidono sempre più spesso di abbandonare questa strada. Ma anche per i pazienti, poiché il rischio di errori umani aumenta, visto il carico di lavoro (l'80% degli interpellati afferma di aver già commesso degli errori a causa del sovraccarico di lavoro o della stanchezza). Ed è una situazione disastrosa anche per la Svizzera: formare (è parecchio costoso) dei medici che poi abbandonano porta il sistema sanitario, già sovraccarico, sull'orlo del baratro.
Giornate da oltre 11 ore
Ma cosa succede, nel dettaglio? In primis, i turni sono troppo lunghi. Quasi il 40% degli intervistati dichiara di lavorare in media più di 11 ore al giorno. Le giornate lavorative dei chirurghi sono le più lunghe, ma anche ginecologi e internisti lavorano per un numero enorme di ore. Alla faccia del codice del lavoro. Con pratiche illegali che vengono - annullare straordinari, detratte giorni di malattia - applicate regolarmente.
Ma perché si lavora tanto? Secondo le risposte al sondaggio, per due motivi: il pesante carico di lavoro e la burocrazia. Quest'ultima resa ancora più pesante dalla lenta digitalizzazione del settore: i sistemi informatici obsoleti, la mancanza di cartelle cliniche accessibili a più medici e così via fa perdere un'immensa quantità di tempo. Eppure quasi nessuno osa parlare: c'è il timore di rovinarsi la carriera. Ma cosa dicono gli ospedali?
«Pressioni enormi sugli ospedali»
Confrontata con i risultati del sondaggio, la direttrice dell'associazione ospedaliera svizzera H+, Anne Bütikofer, è intervenuta in difesa dei nosocomi, respingendo la tesi secondo cui non rispettino l'orario massimo di lavoro e non adempiano al loro mandato di formazione. «Lo dimostrano anche le ispezioni degli ispettori del lavoro». Seppur capiti che a «a volte le ore di lavoro settimanali massime vengano superate. Ma non è possibile pianificare in caso di emergenza».
Il problema è che, ha continuato Bütikofer nella sua intervista al quotidiano zurighese, gli ospedali sono sottoposti a pressioni enormi: «I politici vogliono ridurre i costi, ma allo stesso tempo impongono sempre più requisiti e regolamenti che privano gli ospedali di qualsiasi efficienza». In ogni caso, stando alla direttrice non si possono negare le «ottime condizioni di lavoro» e soprattutto «l'eccellente formazione continua» che le strutture forniscono agli apprendisti.
Per Bütikofer è chiaro: gli ospedali da soli non possono risolvere i problemi del settore sanitario.
«Se si lavora di più, s'impara di più»
A margine del sondaggio, la NZZ ha interpellato anche il cardiochirurgo zurighese Paul Vogt, secondo cui il sistema sanitario svizzero «è ridotto al lastrico» per un motivo principale: la burocrazia. «Il problema non è la mancanza di digitalizzazione, ma il fatto che ogni azione deve essere documentata. Le compagnie di assicurazione sanitaria sono in preda a una frenesia di controllo che costringe il personale infermieristico e i medici ad allontanarsi dal paziente e a rivolgersi al computer. Questo produce miliardi di dati di cui nessuno riesce a tenere traccia. Un'insensata frenesia documentale da cui non è possibile trarre conclusioni significative».
La colpa non è solo della burocrazia, però. «Il numero di posti di studio deve essere aumentato. Il numero chiuso è un'assurdità che costa molto denaro che sarebbe meglio investire in posti di studio. Per quanto riguarda il carico di lavoro, ci sono grandi differenze tra le varie specialità. In cardiochirurgia, ad esempio, bisogna essere in sala operatoria il più spesso possibile, se necessario anche al di fuori dell'orario di lavoro ufficiale».
Per quanto riguarda i turni di lavoro lunghi, il medico li difende: «Il lavoro medico non è un lavoro d'ufficio. Il fatto è che se si lavora di più, si impara di più, soprattutto in chirurgia. L'argomentazione secondo cui non si può lavorare 60 o 70 ore non è supportata dai fatti». In tal senso, però, secondo Vogt c'è anche un gap generazionale. «Molti giovani medici in formazione vorrebbero lavorare part-time e finire alle 17 in punto. Ma le professioni mediche non sono lavori d'ufficio».