La presidente di Mani per l'infanzia sulla decisione del Consiglio federale: «Precipitosa, non neghiamogli il diritto di essere figli».
LUGANO - La volontà del Consiglio federale di vietare in futuro le adozioni internazionali in Svizzera solleva alcuni interrogativi: siamo certi che sia questo il modo più efficace per tutelare i minori o si rischia di privare molti bambini di una famiglia che sappia accudirli un ambiente sicuro e amorevole?
Orietta Lucchini, presidente di Mani per l'infanzia, associazione ticinese che opera come intermediario per le adozioni internazionali, ritiene quantomeno avventato l'approccio del Governo.
«Un approccio equilibrato sarebbe stato quello di adottare ulteriori misure preventive e correttive per affrontare al meglio le procedure di adozione, evitando il più possibile i problemi legati a eventuali abusi. La decisione mi sembra un po' precipitosa, presa senza aver fatto nessun altro tentativo di adattare, migliorare quelle che sono le misure della Convenzione dell'Aia».
Perché delle difficoltà, delle sfide da affrontare nel garantire adozioni etiche e sicure ci sono, quindi.
«Non glielo posso confermare, ma non posso neanche dire che non vi sia assolutamente nessun rischio. Sappiamo bene che dietro ogni legge c'è sempre qualcuno pronto a non rispettarla. Purtroppo, anche in questo ambito, c'è chi evidentemente pensa a tutt'altro che al bene del bambino. È un terreno spinoso, ma è proprio scopo della convenzione dell'Aia per i diritti dei minori occuparsi del bene superiore del bambino e far sì che vengano rispettati i suoi diritti in primis, così come quelli delle famiglie biologiche e di quelle adottive».
Insomma, lei teme che il divieto possa influenzare il destino di questi bambini?
«La loro sopravvivenza, purtroppo, è già a rischio adesso. Nel caso dovesse passare un provvedimento simile, sarebbero colpiti sia i bambini che hanno bisogno di una famiglia, che vedrebbero negato il diritto di sentirsi figli, sia quelli che rimangono lì. Perché molti aiuti arrivano proprio attraverso le adozioni, grazie a chi è stato sul posto ed ha capito in che condizioni vivono».
Non si potrebbe pensare ad alternative all'adozione internazionale?
«Sarebbe bello se tutti i paesi ricchi iniziassero a farlo, sviluppando dei progetti di aiuto sul posto. Qualcosa si sta già tentando, ma non sempre si arriva dove si vorrebbe. Troppi bambini rimangono senza nessuno, vivono sulla strada e, se sopravvivono, lo fanno in condizioni pietose».
In Ticino la situazione relativa alle adozioni internazionali qual è?
«Rispetto a dieci anni fa le richieste sono sempre meno. Parliamo di trenta-trentacinque domande all'anno. In termini di bambini che effettivamente ce la fanno, i numeri sono ancora più bassi, questo perché i controlli sono molto rigorosi e le procedure sono lunghe e faticose. Ecco perché le richieste non sono così alte, c'è chi si scoraggia e non se la sente di affrontare un percorso che può durare più di un anno».
Da dove arrivano principalmente?
«Noi ci occupiamo del Burkina Faso e del Perù. Ma in Svizzera ne arrivano diversi anche dalla Thailandia».