Nel mondo ce ne sono 370 milioni. Rappresentano 5 mila culture diverse. E ora sono a rischio di estinzione.
Ci sono persone la cui vita è messa in pericolo da forti interessi economici. Sono gli indigeni. Le tribù di quei paesi ai confini del mondo civile, di cui il agosto si celebra la Giornata internazionale, una preziosa occasione per riflettere su quanto gli interessi economici portino ad una sempre più maggiore espansione dell’attività industriale, legittimando una corsa verso l’accaparramento delle terre in cui questi popoli tradizionalmente vivono.
Nessuno tocchi le tribù - La pandemia da Covid-19 ha messo in evidenza una notevole difficoltà, da parte delle popolazioni indigene a ricevere un’equa assistenza sanitaria, con esiti devastanti. Con il termine popoli indigeni ci si riferisce a quelle popolazioni la cui presenza in un dato territorio risalgono alla preistoria. In senso lato, vista la difficoltà, in certi casi, di ricostruire la diretta discendenza, esso può indicare quei popoli che vivevano in un determinato territorio prima della dominazione coloniale. Il 13 settembre del 2007 è stata adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite la Dichiarazione sui diritti dei popoli indigeni nella quale viene riconosciuto ad essi il pieno godimento di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali, oltre al riconoscimento di autodeterminarsi, senza subire forme di discriminazione nell’esercizio di tale libertà. Viene inoltre vietato di spostare le popolazioni indigene dalle loro terre con la forza, sollecitando gli Stati a cooperare affinché essi possano conservare e rafforzare le proprie tradizioni, usi e costumi.
Una babele di lingue e culture - Si stima che nel mondo ci siano circa 370 milioni di persone indigene, distribuite in 90 Paesi, che costituiscono il 5% della popolazione mondiale ma rappresentano il 15% dei poveri del mondo. Esse parlano la maggioranza delle 7 mila lingue stimate del mondo e rappresentano 5 mila culture diverse. La dicitura popolo indigeno raggruppa, quindi, un’immensa varietà di costumi e abitudini che vanno dal popolo Sami del Nord Europa ai Quechua-Kichwa e gli Aymara della zona Andina, dai Nativi Americani degli Stati Uniti a quelli Australiani fino ai Maori della Nuova Zelanda.
Lontani dalla civiltà - Elencare tutte le popolazioni indigene esistenti al mondo sarebbe una impresa impossibile ma è interessante osservare che vi sono, tra esse, dei popoli che non hanno mai avuto alcun contatto con la civiltà globalizzata e che, per tale motivo, vengono chiamate incontattate. La maggior parte di esse vivono nell’America meridionale e, in particolar modo, in Brasile. Qui, nel 2009, vennero scattate le prime fotografie aeree di una tribù incontattata di cui non si aveva avuto nessuna traccia prima di allora. In Colombia vivono tre tribù aventi queste caratteristiche, mentre altri popoli indigeni incontattati vivono in Ecuador, Guyana Perù, Paraguay, Bolivia, Suriname e Venezuela. Nell’arcipelago delle isole Andamane, in India, vive il popolo dei Sentinellesi, che sono considerati come la tribù più isolata del mondo. Si crede siano i discendenti delle prime popolazioni provenienti dal continente africano ed hanno vissuto in quelle isole per più di 55.000 anni. La società si è evoluta nell’uso degli utensili ed è noto che costruiscono armi e oggetti con il metallo che recuperano da navi naufragate sugli scogli nei dintorni delle isole in cui vivono. Tale popolazione ha anche la fama di essere in grado di riuscire a sopravvivere ai disastri naturali, che spesso si abbattono in quella zona, grazie al loro vivere in comunione con la natura. Nel 2004, per esempio, riuscirono a sfuggire al devastante Tsunami, che devastò lo Sri Lanka e l’Indonesia, interpretando per primi i segnali provenienti dal mare.
Tra foreste, animali ed epidemie - Sempre in India, nello stato dell’Orissa, sul Golfo del Bengala, il 35% della popolazione è costituita da antichissime tribù già presenti sul territorio in epoca antecedente all’arrivo dei primi coloni nel subcontinente indiano. Tra queste popolazioni spiccano i Dongria Kondh che vivono in piccoli villaggi sparsi sulle colline di Niyamgiri, un territorio coperto da fitte foreste popolate da moltissime specie animali tra cui tigri, elefanti e leopardi. In Vietman il popolo Ruc venne, invece, scoperto in occasione della Guerra del Vietnam da soldati nordvietnamiti. In Papua Nuova Guinea, West Papua e nelle province indonesiane di Papua, si stima vivano circa 44 gruppi di indigeni mai contattati. Negli altipiani le tribù allevano maiali e coltivano le patate dolci, mentre nelle zone costiere si praticano prevalentemente attività di caccia e raccolta. Queste popolazioni sono minacciate da frequenti epidemie di malaria e dalla presenza, su parte del loro territorio, dell’esercito indonesiano.
I "cannibali" Korowai - Sempre in Papua Nuova Guinea vive il popolo dei c il cui contatto con il mondo esterno avvenne solo nel 1974. Per millenni hanno vissuto in un’area di 600 chilometri quadrati, ignorando cosa ci fosse al suo esterno, praticando la caccia e abitando in case costruite sugli alberi per sfuggire alle inondazioni dei fiumi. I Korowai sarebbero l’unica etnia al mondo a praticare l’antropofagia, ovvero l'usanza di cibarsi di carne umana, anche se tale pratica è stata vietata, negli anni ’80, dalla polizia indonesiana.
I Lacadón, i discendenti dei Maya - Nel deserto di Gibson, nell’Australia Occidentale, venne individuato, nel 1984, un gruppo di Pintupi, considerati gli ultimi aborigeni australiani a non essere mai venuti in contatto con i popoli cosiddetti ‘civilizzati’. In Messico, nelle foreste del Chiapas, vivono i Lacadón, considerati gli ultimi discendenti dei Maya e l’unica tribù indigena a non essere conquistata dagli spagnoli. Continuano a parlare l’antica lingua maya, imparentata con il maya yucateco, e a credere nei miti precolombiani tranne alcune tribù del Sud del Paese che vennero convertite da sette battiste alla fine del XX secolo. A fronte di un tale patrimonio di cultura e unicità, e a dispetto del riconoscimento dei giusti diritti di autodeterminazione ed uguaglianza, tali popolazioni vedono ancora seriamente minacciata la propria sopravvivenza, dopo secoli di persecuzioni che hanno portato alla scomparsa di tante popolazioni indigene in nome della presunta superiorità del modello di civiltà portata avanti dai colonizzatori.
Il loro nemico: la globalizzazione - I loro principali nemici sono i forti interessi economici del mondo globalizzato che portano, ogni anno, a sacrificare ampie porzioni di terre per le coltivazioni e l’allevamento intensivo dei capi di bestiame. Nella foresta amazzonica, per esempio, più di 300 mila indigeni hanno perso la vita a causa della coltivazione degli alberi che producono la gomma. Molte tribù locali furono arruolate nella raccolta di questo preziosa sostanza e le precarie condizioni di lavoro a cui furono sottoposti ne causarono, appunto, la morte. La tribù indigena dei Nahua, abitanti della foresta amazzonica peruviana, videro, negli anni ’80, la propria popolazione decimata di oltre il 60% dopo che l’azienda petrolifera della Shell iniziò dei lavori di estrazione del petrolio nelle terre da loro abitate. Di petrolio non ne venne trovato neanche una goccia ma gli indigeni vennero falcidiati dalle epidemie e dalla carenza di cibo dovuta alla deforestazione. Nel 1996 la Shell reiterò l’errore causando la morte di un altissimo numero di persone facenti parte della tribù incontattata dei Nanti. Anche i Murunhaua venne sterminati, negli anni’90, dopo essere entrati in contatto con i tagliatori di legno operanti nella zona.
Quando è la natura a minacciare - Ovunque, nel mondo, le popolazioni indigene vedono messa a rischio la loro stessa sopravvivenza: in Africa, i pigmei delle riserve congolesi, che sono fra gli ultimi uomini primitivi al mondo, devono difendersi dagli attacchi dei bracconieri e boscaioli ma anche dalla depredazione compiuta dall’esercito regolare, mentre il cambiamento climatico minaccia costantemente la sopravvivenza delle popolazioni indigene dell’Artico, composte da 40 gruppi etnici diversi. Bisognerebbe seriamente riflettere sul grave pericolo che rappresenterebbe per noi la perdita di coloro che tutelano, come detto, oltre l’80% della biodiversità presente sul nostro Pianeta e che sono depositari di un bagaglio culturale antichissimo risalente alla notte dei tempi.