Le condizioni del pilota preoccupano. Parola a Ettore Taverna, medico specializzato in operazioni alle spalle.
«Il mio lavoro ai tempi del Covid? È difficile programmare. Effettuo il 50% delle operazioni che solitamente svolgo».
MENDRISIO - Tre operazioni, un'infezione e condizioni fisiche che preoccupano. Tutta "colpa" della caduta dello scorso 19 luglio, giorno in cui è iniziata l'odissea di Marc Marquez. Un infortunio all'omero che non pareva così grave, dal quale si pensava si sarebbe ripreso in poche settimane. Niente di tutto ciò: lo spagnolo nel 2020 non si è più visto in pista per una gara ufficiale.
Probabilmente, però, a pesare come un macigno sulle attuali condizioni del campione di Cervera sono stati proprio quei "giri" in moto effettuati pochissimi giorni dopo l'intervento, quando il pilota della Honda aveva provato a "sondare" il suo braccio per partecipare alla gara in programma una settimana dopo la caduta. Ma, contrariamente a quanto sembrerebbe quando corre, anche Marc Marquez è umano. E quel presunto recupero lampo, del quale tanti avevano parlato di miracolo, ha giocato un bruttissimo scherzo all'iberico.
Ne abbiamo discusso con il Dottor dell'EOC Ettore Taverna (specialista di interventi alle spalle e attivo in diversi ospedali ticinesi) che - tra gli altri - in carriera ha visitato sportivi del calibro di Giorgio Rocca, Alessandro Nesta e Massimo Ambrosini.
«Tornare sulla moto dopo pochi giorni l'intervento? È sicuramente una cosa imprudente - ha esordito il medico - Per quanto i motociclisti siano pazienti particolari, abituati a sollecitazioni importanti, una frattura trattata con placche e viti dopo pochissimi giorni non è sicuramente guarita e non è certo pronta per sostenere la guida di una moto. Le forze torsionali importanti alle quali Marquez si è sottoposto, salendo appunto sulla moto, hanno sicuramente influito sulla tenuta della placca».
Il secondo intervento è dunque stato la conseguenza di questo?
«Non conosco il caso specifico, ma penso proprio di sì. Solitamente - prima di qualsiasi movimento - si attende la formazione del callo osseo, che richiede alcune settimane. Nella mia carriera sinceramente non ho mai visto qualcosa del genere. Non so cosa i medici gli abbiano detto, ma dubito fortemente abbia avuto il via libera per tornare in pista».
In aggiunta - dopo la terza operazione - è arrivata anche un'infezione. Addirittura si è parlato di osteomielite...
«Questo rischio esiste in qualsiasi intervento. Quando c'è un'infezione diventa un bel problema: una delle cose che aumentano la possibilità di essa è proprio il ripetersi d'interventi nello stesso punto. Favoriscono le infezioni anche la presenza di mezzi di sintesi metallici così come il trapianto di osso, elementi presenti nel suo caso».
Nei casi peggiori di osteomielite si deve amputare l'arto...
«Esattamente. In certi casi può portare a questo. Proprio non troppo tempo fa ho conosciuto un caso, il primo della mia carriera, di osteomielite nel quale bisogna procedere con l'amputazione. Accade molto raramente, ma non è impossibile».
Marc Marquez potrà tornare quello di prima?
«Questo non lo so. Se dovesse guarire al 100% allora sì, potrebbe anche non avvertire più nessun dolore. Ma con una possibile infezione in atto non è scontato...».
Passando a lei come procede il lavoro ai tempi del coronavirus?
«Si può organizzare il lavoro in modo meno preciso rispetto a prima. Cambiano spesso le disposizioni e le disponibilità delle sale operatorie. Anche gli stessi pazienti, o perché si infettano o perché sono in quarantena, non sempre possono sottoporsi all'intervento. Succede spesso che bisogna annullarli o riprogrammarli. Si fa molta più fatica: a causa delle disposizioni vigenti a volte ci vuole molto più tempo per operare meno pazienti».
Opera molto meno in questo periodo?
«Diciamo che in alcuni periodi le operazioni sono state addirittura azzerate, ma se devo fare una media da marzo a oggi posso dire che ho effettuato circa il 50% delle operazioni che solitamente svolgo».