Il governo danese voleva fornire 20 mezzi Piranha prodotti in Svizzera all’Esercito ucraino.
In nome della neutralità, il nostro Governo si è però opposto.
BERNA - Sono veicoli sofisticati, galleggianti e pesantemente corazzati, i Piranha III. E la Danimarca, che li possiede, intendeva donarne 20 esemplari all’Ucraina. La Svizzera, però, si è opposta, bloccando tutto, riporta la SRF. Già, perché i suddetti mezzi sono prodotti dall’azienda rossocrociata Mowag, con sede a Kreuzlingen (TG) e la Danimarca si è impegnata, al loro acquisto, a rivendere il materiale bellico solo con il via libera del nostro Paese. La motivazione del no? La Svizzera vuole rimanere fedele alla sua neutralità.
Cambio di rotta in vista? - Per la Confederazione dare il via libera all’esportazione di armamenti in Paesi in guerra rappresenterebbe infatti una violazione della legge sul materiale bellico. Ma dall’Estero le critiche si fanno sentire. La scorsa settimana al World Economic Forum il vicecancelliere tedesco Robert Habeck ha infatti sottolineato l’importanza di «misurare la nostra posizione con la realtà». Secondo SRF, il Governo tedesco avrebbe inoltre chiesto alla Confederazione di rivalutare il suddetto divieto di esportazione, ponendo delle eccezioni a determinate condizioni. Il Consiglio federale dovrebbe decidere un eventuale cambio di rotta questa o la prossima settimana.
«Armi a chi si difende da un aggressore» - Si dice favorevole Pirmin Bischof, consigliere agli Stati del Centro e presidente della commissione Politica estera: «Il Consiglio federale dovrebbe intervenire e correggere l’attuale prassi». Dello stesso parere anche Tiana Moser, consigliera nazionale per i Verdi liberali: «Queste armi andrebbero a un Paese che si sta difendendo da un aggressore». Non si tratterebbe poi, sottolinea, di un’esportazione diretta, ma di materiale bellico già venduto a Paesi democratici a noi vicini.
«Meglio lo status quo» - Contrario, invece, l’UDC, che ritiene che il Governo non debba allontanarsi dall’attuale posizione. La pensa così anche Balthasar Glättli, consigliere nazionale dei Verdi. «La prassi attuale è ampiamente sostenuta. Il Consiglio federale non deve lasciarsela alle spalle senza chiedere nulla al Parlamento».