I target: promuovere la democrazia e i diritti umani nonché gestire le crisi umanitari
BERNA - La Svizzera deve dotarsi di una strategia di cooperazione internazionale. Lo ha stabilito il Consiglio nazionale, adottando - gli Stati avevano fatto lo stesso in settembre - tre relativi decreti federali. Tuttavia, per circa 9,7 degli 11,3 miliardi previsti, i deputati hanno rifiutato di togliere il freno alle spese, bloccando di fatto il finanziamento.
Iniziato giovedì, il dibattito è ripreso nel pomeriggio di oggi. Settimana scorsa il plenum aveva già liquidato la questione dell'entrata in materia, respingendo una proposta di rinvio al Consiglio federale da parte dell'UDC.
Gli obiettivi della strategia sono molteplici, come ridurre la povertà, promuovere la democrazia e i diritti umani nonché gestire le crisi umanitarie. I fondi saranno usati principalmente in quattro aree geografiche: Africa subsahariana, Medio Oriente e Nordafrica, Asia e Pacifico, nonché Europa dell'Est.
Durante la discussione odierna, i deputati hanno accettato un credito di circa 1,4 miliardi per assicurare la continuazione del finanziamento della cooperazione economica allo sviluppo e uno di 232 milioni per misure di promozione della pace e di rafforzamento dei diritti umani.
Per quanto riguarda invece la maggior parte del budget, i quasi 9,7 miliardi previsti per la cooperazione allo sviluppo e l'aiuto umanitario, il Nazionale ha rifiutato di togliere il freno alle spese: i 101 voti necessari non sono stati raggiunti (i "sì" si sono fermati a quota 99). Il dossier torna quindi agli Stati per l'esame di questa e altre divergenze rimanenti.
13% all'Ucraina - Entrando nel dettaglio, il disegno governativo prevede che la sola Ucraina si veda recapitare 1,5 miliardi, il 13% del totale. L'impegno finanziario sarebbe utilizzato nell'aiuto umanitario e nella cooperazione allo sviluppo. La Svizzera si adopererebbe nella ricostruzione a lungo termine delle infrastrutture gravemente danneggiate dalla guerra, come scuole, ospedali, infrastrutture idriche ed energetiche.
Bisogna aspettare per capire l'evoluzione della situazione, a seconda delle condizioni di un futuro cessate il fuoco parte della ricostruzione potrebbe spettare ai russi, ha detto Hans-Peter Portmann (PLR/ZH), facendosi portavoce degli scettici sull'entità della somma da destinare a Kiev.
"Stiamo investendo i nostri soldi nel modo giusto?", si è invece retoricamente chiesta più in generale Monika Rüegger (UDC/OW), secondo cui la Svizzera ha già i suoi problemi, tra cui capire in che modo finanziare la tredicesima AVS. Ribattendo a un altro argomento dei contrari, ossia che si andrebbe a versare denaro a leader politici quantomeno discutibili, Nicolas Walder (Verdi/GE) ha evidenziato che la cooperazione internazionale non ricompensa i governi. "Non si può abbandonare popolazioni la cui 'colpa' è essere amministrate male", ha affermato l'ecologista.
Tagli e aumenti - I deputati hanno trattato una sequela di proposte volte a ridurre (in primis l'UDC) o aumentare (la sinistra) i crediti. Presente in aula, il consigliere federale Ignazio Cassis si è battuto per mantenere intatte tutte le cifre stabilite dall'esecutivo, chiedendo di rinunciare a tagli o aumenti. "Questo porterebbe a una rielaborazione della strategia", ha motivato il ticinese.
Alla fine, come avevano fatto pure i "senatori", i deputati hanno avallato le somme previste dal disegno governativo. La riduzione di un miliardo di franchi auspicata dalla Commissione delle finanze della Camera del popolo è stata bocciata con un solo voto di scarto (95-94, tre astensioni), grazie all'opposizione di sinistra, Verdi liberali e buona parte del Centro. Come detto però, il successivo mancato sblocco del freno alle spese non rende definitive le decisioni.
Seguendo un'aggiunta degli Stati, il Nazionale ha anche deciso che i programmi nei Paesi prioritari potranno essere rivisti al ribasso se questi non si dimostreranno "sufficientemente disposti ad accettare un legame tra la cooperazione allo sviluppo e le questioni inerenti alla migrazione". Una precisazione che permette una certa pressione su alcune nazioni, incoraggiandole a rispettare gli accordi di riammissione per non perdere i fondi.