Il dolore della madre di T., la baby sitter uccisa a San Gallo.
Quattro anni fa il trasferimento. «Perché in Svizzera? Per guadagnare di più e non essere troppo lontana dalla sua famiglia»
SAN GALLO - Rita è una donna piegata dal dolore. Un 22enne di nome Steve, come noto, ha ucciso sua figlia T., emigrata dall'Italia in Svizzera per lavoro. Precisamente per fare la baby sitter. «Andava bene anche sfregiata invece che in una bara», racconta al Corriere della Sera con un filo di voce. La donna poi va oltre, aggiunge dettagli a quei fatti drammatici consumatisi il 2 settembre scorso a San Gallo.
«Non ha salvato una sola bambina, come dicono. Ne ha salvati tre», sottolinea. «Lei era fatta così, si è sempre presa cura dei più deboli (...). Quei bambini erano come figli per lei. Per le due sorelline era la baby sitter e poi c’era in casa il bimbo di quattro anni della vicina del piano di sopra. T. ha visto dalla finestra che il bastardo stava seguendo le due bambine che tornavano da scuola, è corsa verso di loro per proteggerle, è riuscita a portarle a casa al sicuro ma quello era un demonio, si è infilato dentro assieme a loro e ha fatto quel che ha fatto...».
Instabilità manifesta - «Il demonio», come noto, era un ragazzo con problemi di varia natura, ricoverato più volte per gravi problemi psichiatrici e noto anche per abuso di droga. Sul suo profilo Instagram, l'instabilità è manifesta. Un giorno c'è un post pro-islam, quello seguente il 22enne si scaglia contro gli immigrati e il movimento «black lives matter».
Una furia folle - Fino all'omicidio della baby sitter 46enne, madre di tre figli. Quel giorno T. ha allontanato i bambini mettendosi tra loro e il forsennato. Quest'ultimo ha reagito con una furia incredibile, afferrando una padella in metallo e colpendola ripetutamente alla testa. Un’altra donna, presente in casa in quel momento, ha allertato la polizia. All'arrivo dei soccorsi T. era ancora viva. Il 22enne le era addosso. Ancora infieriva sul suo corpo. Inutile l'invito a fermarsi. Per interrompere la furia del giovane è stato necessario sparargli. Così è morto, accasciandosi su un corpo in fin di vita, che nemmeno il pronto trasporto in ospedale è riuscito a salvare.
«Me l'hanno riportata in una bara» - «È sempre stata una che ha lavorato molto. Era andata in Svizzera per dare un futuro migliore ai suoi figli e invece eccola lì», prosegue la madre. «Me l’hanno riportata in una bara». L’ultima telefonata, una manciata di minuti prima che venisse uccisa. «Abbiamo parlato delle condoglianze che voleva fare ai parenti di una persona morta giovane...».
Emigrata per lavoro - T., di origini calabresi, aveva messo su famiglia giovanissima. Aveva 16 anni quando è nato il suo primogenito. Quattro anni fa, arrivata l’occasione di guadagnare di più, aveva scelto la Svizzera, sufficientemente vicina per tornare a casa quando possibile.