Secondo uno studio recente, essere guariti dal virus fornisce un'eccellente protezione contro i decorsi gravi.
L'infettivologo Alessandro Diana sostiene una strategia basata su un approccio individualizzato nei confronti della vaccinazione.
GINEVRA - La campagna di vaccinazione di massa in Svizzera si sta esaurendo. La variante Omicron (ma non solo) ha contribuito a far calare drasticamente il numero di vaccini inoculati nel nostro Paese. Tuttavia, «è ancora troppo presto per smettere d'invitare la popolazione a vaccinarsi», ha sottolineato venerdì il direttore generale della Sanità ginevrina, Adrien Bron. Aggiungendo che «a lungo termine, la vaccinazione diventerà senza dubbio una questione che verrà affrontata individualmente tra un paziente e il suo medico».
Per l’infettivologo Alessandro Diana, gli studi scientifici dimostrano che è necessario un cambio di paradigma. «I dati a nostra disposizione sono chiari: l'immunità naturale contro la SARS-CoV-2 conferisce un'eccellente protezione contro ricoveri e decessi». Pertanto, «non è più necessario un messaggio univoco per quanto riguarda la vaccinazione». Diana sostiene un approccio caso per caso e a 20 Minutes ha spiegato perché.
«Lo studio del Center for Disease Control and Prevention, basato su 300 milioni di persone, mostra che la curva d'infezione delle persone guarite ma non vaccinate segue quella delle persone vaccinate. Ciò significa che la protezione offerta da un'infezione è buona. A oggi non si può quindi più dire "vaccino per tutti". Sono pro vaccino, ma non cado nella trappola della demagogia. Un vaccino dovrebbe sempre essere considerato sulla base del rapporto costo/beneficio. Se non è necessario, non lo consiglio. Dobbiamo cambiare il nostro approccio e fornire risposte individuali».
Di conseguenza bisogna “ringraziare” Omicron?
«È in effetti il "vaccino" che non siamo riusciti a produrre. Questa variante ci ha salvati dalle complicazioni legate alla variante Delta, perché è intrinsecamente meno pericolosa. Nella sfortuna abbiamo avuto questa fortuna».
Approccio individuale: ci può fare degli esempi?
«Prendiamo una donna di 80 anni, né vaccinata, né curata. Per lei la situazione è critica. Il vaccino è quindi totalmente giustificato. Una donna di 32 anni già vaccinata con due dosi mi ha invece chiesto un’opinione sul booster. Non aveva fattori di rischio e nessuna persona vulnerabile a casa. Le ho detto che molto probabilmente sarebbe stata reinfettata, ma che non sarebbe finita in ospedale. In questo caso, per me, il booster non è necessario. Altro esempio: un uomo di 40 anni, né vaccinato, né curato. Gli ho suggerito di fare un test sierologico pre-vaccinazione. Se è negativo, gli consiglierò il vaccino. Se è positivo, no».
Le autorità sanitarie hanno sbagliato a sostenere il vaccino?
«La vaccinazione non è stata inutile. Ha offerto un'immunità preventiva. Ma dallo scorso giugno, quando le prove scientifiche hanno dimostrato che essere guariti dal Covid offre una buona protezione, ho iniziato a offrire la sierologia pre-vaccinazione ai pazienti indecisi. È semplice: se il test risulta positivo, significa che si è entrati in contatto con la malattia e che si è protetti. Se è negativo, allora va presa in considerazione la vaccinazione. In 9 casi su 10, coloro che avevano una sierologia negativa hanno finito per farsi vaccinare. Sento però spesso dire: "L'immunità offerta dal vaccino è migliore dell'immunità naturale". Mi dispiace, ma è sbagliato!».