Annette Biegger, capo Area infermieristica dell’Ente Ospedaliero Cantonale: «Pronti ad affrontare il picco»
Tra i momenti più delicati, quello del decesso di un paziente. I malati muoiono in solitudine. Un aspetto straziante anche per chi lavora al fronte.
Ben oltre un migliaio di contagi. Decine e decine di morti. Oltre un centinaio di posti per le cure intensive. Gli spazi Covid-19 che si allargano anche al Cardiocentro di Lugano. In Ticino il nuovo coronavirus sta mettendo a durissima prova il personale sanitario. Medici e infermieri sono i veri e propri eroi di questo primo scorcio di 2020. Annette Biegger, capo Area infermieristica dell’Ente Ospedaliero Cantonale (EOC), è orgogliosa dell’enorme lavoro svolto finora. «Stiamo andando verso il picco dei contagi. Sarà una sfida enorme. Per noi è tutto nuovo. Ce la metteremo tutta per fare del nostro meglio».
Gli straordinari si stanno accumulando. Il vostro personale è ancora in grado di reggere questa situazione senza aiuti esterni?
«Quanto stiamo facendo è impegnativo sia psicologicamente, sia fisicamente. Nei reparti di cure intensive abbiamo introdotto i turni di 12 ore. L’EOC, avendo tante sedi, può permettersi di trasferire personale internamente. Diversi infermieri provenienti "da altre sedi" ci stanno dando man forte nell’ambito della lotta al Covid-19».
Quanti sono attualmente gli “angeli” al fronte in questa battaglia?
«Circa 130 per i reparti di medicina intensiva, a cui ne vanno aggiunti circa altri 200 per i reparti in cui stanno i pazienti “meno gravi”. E non dimentichiamoci che oltre al personale della Carità di Locarno e del Cardiocentro, sono operativi anche i colleghi della clinica privata Moncucco di Lugano, circa un centinaio».
Di recente l’EOC ha pubblicato un bando di concorso per nuovi infermieri. Serve comunque aiuto dunque?
«Cerchiamo persone che abbiano la formazione infermieristica e che per un motivo o per l’altro sono uscite dal giro. Per dare man forte e sostenere in qualche modo chi è in prima linea».
Fa impressione il numero di decessi. Queste persone muoiono sole.
«È davvero doloroso. Questa è una pandemia per cui nessuno era pronto. Ci sono pazienti che entrano nelle cure intensive e i parenti sanno che forse non li rivedranno più. Perché, per prevenzione, è proibito ogni contatto tra il paziente e l’esterno».
Alla Carità vi state attrezzando grazie alle nuove tecnologie…
«È vero. Stiamo introducendo degli iPad grazie ai quali i pazienti possono tenere un contatto con il mondo esterno. È un modo per alleviare un po’ questa condizione drammatica».
Parenti che non possono accompagnare il proprio caro verso la morte. Come riuscite a gestire questo problema?
«Il supporto psicologico sia per le famiglie, sia per il personale curante, è fondamentale. È chiaro che tutto questo è sconvolgente. Molti famigliari comunque, nonostante il dolore, capiscono la situazione. Sanno che non è colpa nostra. E noi facciamo di tutto per trasmettere loro il nostro calore».
Chi ha avuto a che fare con voi in queste settimane ha parlato di personale d’oro. La gente vi applaude dalle finestre delle abitazioni…
«Sono complimenti e incoraggiamenti che fanno piacere. Abbiamo dovuto reinventarci da zero. Non è facile nemmeno per noi. Siamo esseri umani. Ma stiamo dando il massimo».